Diritti

Senza Draghi riappaiono i partiti (il vero problema)

Non sanno più chi sono, e si danno a keywords. Ora è il turno dell’ambiente. Se solo sapessero vedere com’è cambiato, il Paese che credono di rappresentare
Cittadini ed esponenti di partiti diversi durante una manifestazione per sostenere Mario Draghi e chiedergli di andare avanti a guidare il governo, il 18 luglio 2022 in piazza Scala a Milano
Cittadini ed esponenti di partiti diversi durante una manifestazione per sostenere Mario Draghi e chiedergli di andare avanti a guidare il governo, il 18 luglio 2022 in piazza Scala a Milano Credit: ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

Un dramma collettivo, un trauma nazionale, uno choc di massa: così da molti sono state vissute le dimissioni di Draghi. Dai parlamentari, in primis, che l’hanno appoggiato fino in fondo, confidando nelle sue capacità, più che di statista, quasi di vero e proprio taumaturgo, in grado di risolvere con piglio autorevole ogni emergenza italiana. Dagli italiani, certo, non tutti, ma molti, specie quelli la cui stima per l’ex banchiere veniva alimentata da una stampa celebrativa, che per molti mesi non ha fatto che sottolineare come nessuna alternativa fosse possibile e che Mario Draghi fosse la risposta a tutti i nostri problemi. Così, partiti e italiani hanno vissuto la “caduta” come il precipitare nel nulla, in un vuoto cosmico che tutto trascina nel baratro.

Seconda Repubblica, una storia di anomalie

La buona notizia è che questo non è possibile. La cattiva è che il motivo per cui non è possibile è che nel baratro, l’Italia e soprattutto i suoi partiti, ci sono ormai da anni. Almeno dagli anni Novanta, quando la richiesta di rinnovamento che veniva dall’immensa ondata emotiva seguita alla morte prima di Falcone poi di Borsellino e da Mani Pulite avevano fatto sperare nella nascita di una politica nuova e alternativa al vecchio, corrotto, pentapartito. Una politica fatta di alternanza, una destra normale da un lato, una sinistra vera dall’altro. Questo non è mai successo e la storia italiana è diventata una lunga storia di anomalie. L’anomalia di Berlusconi prima, una vicenda lunga vent’anni e che, a ripensarci, si stenta a credere sia accaduta davvero. Le vittorie del centrosinistra con Prodi, nate subito rapidamente abortite. La novità che avrebbe dovuto essere dirompente nel panorama politico italiano, la nascita del Partito democratico, presto si è rivelata quella che è ancora oggi. Un partito caduto subito in una infinita agonia, quella di chi non ha mai saputo mai davvero chi fosse e quali valori rappresentare.

I governi delle emergenze

Piano piano, lentamente, mentre il mondo si faceva più complesso, le trasformazioni sociali tumultuose, il degrado ambientale cominciava a essere un tema, l’Italia precipitava in uno schema dal quale non è più uscita: quello dei governi tecnici, come quello di Mario Monti, oppure creati per rispondere alle urgenze, Letta, Renzi, Gentiloni, i due governi Conte infine Draghi. Il nostro sistema ormai vive una paralisi da cui non riesce più a uscire: il voto non riesce a indicare una maggioranza chiara, mentre al tempo stesso i partiti cercano a tutti i costi di non tornare alle urne, in nome, spiegano, delle emergenze sempre più gravi, sempre più radicali (tranne che quella climatica, quasi mai citata). È ovvio che in questa impasse Mario Draghi è sembrata una via d’uscita liberatoria, la soluzione che i partiti cercavano: il leader che nessuno poteva mettere in discussione, l’unico in grado di poter governare, non tanto grazie alla convergenza tra tutti i partiti, ma nonostante i partiti stessi. Era ovvio che non avrebbe funzionato. Infatti, non ha funzionato.

Partiti in agonia e senza identità

Il problema, infatti, è che nessun leader capace, competente carismatico potrà risolvere l’agonia, forse finale, dei partiti. Così come nessun leader potrà riuscire in un compito impossibile: quello di conciliare visioni del mondo opposte, cancellandole come se non esistessero. Aggiungerei per fortuna non può: perché a che servono i partiti, se non esprimono punti di vista diversi forti e convincenti sul mondo? Visioni sul Paese e sulla soluzione dei problemi alternativi, proprio vista la loro funzione di rappresentare gli italiani che non sono, come erroneamente rappresentati in questi giorni, un unico blocco, “il Paese”? Se non fosse così d’altronde, tanto varrebbe abolirli . Allora è evidente che il dramma – anche se non solo italiano - ormai è questo: i partiti non sanno più chi sono e in cosa credono. I loro valori sono ormai annacquati e flessibili, il trasformismo la regola. Tragicomica, e infatti seguita da una sorta di marcia indietro, è stata l’idea di Letta di schiarare subito il partito sull’”agenda Draghi”. Quella cioè di uno che non c’è più. Come se il Pd non avesse alcun contenuto proprio da proporre.

L’ambiguità dei 5Stelle, la vuota moderazione del Partito democratico

Ma prendiamo ancor prima i 5Stelle: entrati in Parlamento con una fragile visione comune, quella di cacciare i corrotti e ripristinare l’onestà, si sono presto rivelati un partito ambiguo dai mille volti, tanto da lasciare sconcertati gli elettori: pro vax e no vax, ecologisti e anti-ambiente, statalisti o liberalizzatori. La loro mancata fisionomia politica ha allontanato gran parte dei loro elettori, forse in parte recuperabili grazie a una scissione che almeno, speriamo, avrà il merito di rendere i loro programma e i loro valori più chiari.

E il partito democratico? Come accennato, è in una crisi forse ancora più grave. Pur vincendo sui territori quando si radicalizza, a livello nazionale continua a voler rappresentare il volto moderato, anziano, benestante del Paese. Puntando a rassicurare, sta perdendo generazioni intere di giovani e meno giovani. È incapace di fare vere battaglie sulle disuguaglianze, di lottare contro la povertà, di parlare coraggiosamente di crisi climatica. Ripete come un mantra che occorre stare sui territori e uscire dalle Ztl, eppure il coraggio di rappresentare istanze ormai abbandonate non si vede all’orizzonte. Il Pd è rimasto quello che balbettava di fare qualcosa per i giovani precari quando i precari avevano ormai cinquant’anni.

Ma anche la Lega, per restare ai grandi partiti, vive la stessa crisi identitaria. Partito di lotta eppure di governo, ovvero nessuna delle due cose. Populista e ferocemente anti immigrati e anti poveri da un lato, draghiana con giacca e cravatta dall’altro. Anche la Lega si presenta agli elettori senza un volto. Come quasi tutta la politica italiana.

Aggrappati al leader e incapaci di vedere cosa c’è fuori dal Palazzo

È dunque inutile, dopo questa analisi, stracciarsi le vesti per la caduta di Draghi, che comunque se ne sarebbe andato tra pochi mesi. Perché il problema sono i partiti, nascosti dietro la sua figura e ora smarriti e terrorizzati, come se non avessero più qualcosa a cui aggrapparsi per giustificare la loro esistenza. È uno spettacolo patetico. Se solo questi partiti uscissero dal Parlamento – e no, non è retorica - e sapessero vedere i mutamenti sociali e ambientali accaduti in questi anni al Paese che credono di rappresentare! Se solo avessero occhi per guardare le sofferenze indicibili del popolo italiano, gli enormi problemi, sempre più tragici, in cui i loro cittadini si dibattono: crisi economica, crisi occupazione, crisi inflattiva, crisi climatica, povertà, per non parlare di una guerra dove sono stati coinvolti senza che abbiano potuto mai dire la loro!

Queste emergenze vengono citate solo per giustificare la loro permanenza al potere ma non sono viste davvero. Perché se riuscissero davvero a “sentirle”, i nostri politici, in maggioranza assoluta uomini, smetterebbero di fondare mini partiti dagli imbarazzanti nomi inneggianti al futuro. Forse capirebbero che rappresentare e risolvere tutti questi problemi non è neanche più possibile, tanto sono immensi. Forse farebbero un passo indietro, forse lascerebbero il posto ai più giovani. Così non sarà.

Quel ricambio generazionale e di genere che solo potrebbe salvarci

Ci apprestiamo invece a vivere una tra le peggiori campagne elettorali, tanto che già si vedono i politici cominciare a lanciare slogan assurdi e falsi, come quello di Berlusconi sulle pensioni, mentre fuori l’Italia brucia, letteralmente e metaforicamente. Assisteremo a lunghissimi e inutili talk show dove giornalisti che vivono esclusivamente di aria condizionata discetteranno ancora e ancora di politica. Poi, forse, nel peggiore dei casi avremo un governo di centro-destra capace di distruggere anche quel minimo di transizione ecologica che si stava facendo, una letterale catastrofe. Oppure, nel “migliore” dei casi, ammesso che abbiano i numeri che al momento non ci sono, ci saranno i soliti partiti che, in nome della responsabilità, cercheranno di mettersi indietro e formare un governo “per il bene del paese”: Pd, centristi, altri transfughi dei 5Stelle e della destra. E proveranno ad andare avanti ancora, in nome di una vaga agenda comune che non esiste, senza vedere, senza sentire, magari di nuovo cercando un leader carismatico che possa tenerli insieme per dare una giustificazione all’ennesimo scippo di democrazia.

Che sia Draghi, che sia un’altra personalità autorevole non cambia. Perché il problema restano i partiti. Che sono morti ma non accettano di esserlo, rimandando quel ricambio - anche generazionale, anche di genere - che solo potrebbe dare una speranza reale all’Italia.

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