Ambiente

Black Friday: il giorno nero dell’ambiente

Nel giorno del “venerdì nero” gli acquisti sfrenati rilasciano circa 386mila tonnellate di Co2 nell’atmosfera, paragonabili al peso di oltre 3600 balenottere azzurre
Black Friday
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8 dicembre 2021 Aggiornato alle 17:15

C’è un giorno, tra i 365 dell’anno, in cui viene prodotta una quantità enorme di anidride carbonica. È il Black Friday, il cosiddetto “venerdì nero”, in cui gli acquisti sfrenati prima di Natale rilasciano circa 386mila tonnellate di Co2 nell’atmosfera, paragonabili al peso di oltre 3600 balenottere azzurre. Lo ha stimato il rapporto Dirty Delivery del sito web britannico Money.co.uk. Secondo Mastercard, negli Stati Uniti le vendite nel giorno del Black Friday sono aumentate del 30% rispetto a un anno fa: l’azienda ha tenuto traccia dei dati di pagamento degli americani nei negozi e online. Una tendenza in crescita, quella di acquistare durante il Black Friday, sia per le offerte speciali che per la voglia di evitare gli affollamenti pre-natalizi ora che i contagi stanno avanzando di nuovo. Gli acquisti privilegiati sono, infatti, quelli online. In Italia, Coldiretti ha calcolato che circa 4 persone su 10 hanno deciso di fare acquisti nel week-end del venerdì nero, per un giro d’affari complessivo di oltre 3 miliardi di euro. E secondo uno studio della multinazionale Pwc, la spesa media si aggirerà intorno ai 230 euro ad acquirente.

La Svolta ha chiesto a Gimme Like, app specializzata in sondaggi smart, di porre alcune domande a un migliaio di giovani italiani under 30 sulle loro abitudini di acquisto durante il Black Friday. Le risposte mostrano che il settore privilegiato è quello dell’abbigliamento (35%), seguito da prodotti tecnologici (29%), libri ed elettrodomestici (13%) e infine food & beverage (10%). Il 74% degli intervistati preferisce gli acquisti online, che superano di gran lunga quelli in loco (26%) e li ha effettuati anche durante il Cyber Monday (63%), un’altra giornata creata a hoc per invogliare gli acquisti, in particolare quelli tecnologici.

Non tutti lo sanno, ma una delle pratiche più inquinanti è il reso: la restituzione, cioè dell’oggetto dopo l’acquisto. La pratica è spesso gratuita e per questo molto diffusa. Il 55% dei giovani che ha risposto al sondaggio di Gimme Like ammette di non sapere quanto sia inquinante questa opzione (55%) e non si sente in colpa per i propri acquisti (69%), ma dice di conoscere l’impatto ambientale dei prodotti che compra (60%). Il 30% non ne è a conoscenza e al 7% non interessa.

Perché il reso è così poco ecocompatibile? In primis, la restituzione al mittente comporta un ulteriore viaggio da parte del corriere, oltre a un altro packaging per il prodotto. Inoltre, è molto difficile che venga rimesso in commercio. L’emittente britannica Itv news ha scoperto che Amazon, per esempio, prevede una “destruction zone” all’interno dei propri magazzini, una zona dedicata esclusivamente al macero di milioni di prodotti. Perché il restock è un processo complesso e molti rivenditori preferiscono risparmiare sulle spese di stoccaggio distruggendo i resi. Di recente la piattaforma di Jeff Bezos ha previsto la possibilità di rivendere gli oggetti restituiti come “usati”, a minor prezzo. E molte piattaforme di shopping online come Zalando o Asos prevedono una sezione dedicata ai prodotti di seconda mano. Inoltre, per impattare meno durante gli acquisti, è bene accorparli in un unico ordine, per esempio su sistemi come Amazon, che riuniscono prodotti di abbigliamento, tecnologia, libri e igiene personale. Da agosto 2019 la piattaforma segue la politica “Frustration Free Packaging”, che prevede l’uso esclusivo di imballaggi essenziali e di cartone ecologico. La consegna veloce, poi, smuove più corrieri e impatta di più sull’ambiente: meglio optare per quella standard, e privilegiare prodotti provenienti dall’Italia e non dall’estero. Più lontano è il luogo da cui viene spedito, peggio è per l’ambiente.