Ambiente

L’insostenibile leggerezza dell’essere impresa

Quale campagna pubblicitaria oggi non parla della sostenibilità della propria azienda? Ma poi, alla fine, tutti questi elogi hanno davvero dei risultati concreti a lungo termine?
Credit: Fotomontaggio Rocco di Liso
Tempo di lettura 4 min lettura
26 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

Da quando la sostenibilità è divenuta il refrain di ogni campagna pubblicitaria, assisto - ahimè a volte divertito - a quanto le varie imprese riescano a sostenere.

Leggo di acciaierie che sono sostenibili perché hanno raggiunto la piena compensazione con le emissioni inquinanti, fabbriche di caffè che riforestano e sostengono le piccole comunità contadine e riciclano le capsule per fare biciclette, aeroporti che si autocelebrano per premi concessi da organizzazioni varie in tema di ESG.

Tutte azioni da applaudire; e si sa che, come la madre degli stolti è sempre incinta, la madre di coloro che plaudono i potenti e i vincenti non è da meno.

Da cultore del pensiero critico e forse anche per la professione che svolgo, io invece mi pongo sempre alcune domande: ma le emissioni compensate sono effettive? Quanti degli alberi piantati in effetti cresceranno e sopravvivranno nell’arco di uno e cinque anni?

Basta essere romani e andare all’aeroporto di Fiumicino per vedere la lunga fila di alberi piantati quando l’autostrada Roma Fiumicino fu allargata: alberi che - come si dice a Roma - “non crescono e non crepano”.

Mi chiedo, pensando all’industria del caffè, se non sia la stessa industria che ha devastato il Pianeta con le monoculture e quante capsule diventeranno biciclette e di cosa ne faremo di queste biciclette una volta che saranno arrivate a fine vita.

Pensando agli aeroporti mi chiedo cosa vi sia di sostenibile e semplicemente rispettoso degli esseri umani (la S di ESG sta per Social) nel costringerli a fare lunghi percorsi per i gate per far acquistare loro alcolici, sigarette e cioccolati trattati e arricchiti pieni di zuccheri e grassi saturi, mentre magari corrono senza fiato per non perdere l’aereo dopo un’insostenibile coda ai controlli.

La fila delle domande è lunga se solo si pensa che in Africa ci sono popolazioni indigene che accusano un’organizzazione mondiale per l’ambiente di forzarli all’estinzione, allo snaturamento o quanto meno allo sradicamento con la logica occidentale della gestione dei parchi naturalistici (che ammette migliaia di auto a fotografare animali che dovrebbero avere diritto alla loro vita selvaggia ma non consente a chi è nato e cresciuto in un parco a rimanere lì). Del resto si sa: l’essere umano pone nella scala dei valori qualsiasi forma di vita prima di quella dei bipedi che gli somigliano meno per colore della pelle, cultura o abitudini.

Dispiace poi vedere che tali organizzazioni ambientali condividano e sostengano programmi per assicurare la biodiversità attraverso l’alienazione di “palline di terra piene di semenze varie” da piantare per assicurare il nutrimento agli impollinatori da parte di un’industria dell’arredamento (non basta piantare semplicemente i semi che forse costano anche meno?), quella stessa industria dell’arredamento accusata da alcuni di acquisire legno con la devastazione di boschi in modo incontrollato.

Ci tengo a dire che non menziono esplicitamente i nomi delle singole realtà, non per il timore di ritorsioni (la documentazione reperibile con semplici ricerche è veramente ampia e ognuno può farsi una propria opinione, né sostengo la veridicità delle accuse mosse da ambientalisti e popolazioni intere) ma lo faccio per non fare ingiustizia a nessuno, perché il parterre è veramente vasto. Dio non voglia che qualcuno si offenda per non essere stato citato.

Non tutto sembra però essere negativo.

Alla fine come ho avuto già modo di scrivere con la collega Maria Rosaria Raspanti parlando di greenwashing, anche l’amore cortese nacque prima nelle canzoni dei trovatori che nella vita reale, ma l’esaltazione poetica contribuì in modo essenziale a creare lo spirito cavalleresco.

Il tema è che di tempo ne abbiamo poco per salvare noi stessi e il pianeta.

Così parafrasando un detto in voga negli anni ‘70 e ripreso dall’ottocento, invito solo a guardare con occhi critici tutta questa sedicente sostenibilità e magari, con contegno rispettoso (ricordiamoci sempre della S di ESG), iniziate a sorridere e poi a ridere: una risata li cambierà.

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