Diritti

La democrazia è a un bivio

Cosa accade quando questa deve affrontare importanti emergenze? Due le possibili strade: la sua trasformazione in una dittatura più o meno soft, oppure una radicale apertura alla società civile
Credit: ANSA/ANGELO CARCONI

“Irresponsabili”: questo è l’aggettivo che viene più frequentemente rivolto in queste ore di crisi al Movimento 5stelle e al suo leader Conte, colpevole, secondo gli altri leader e partiti di maggioranza, di aver innescato una crisi devastante nel mezzo di emergenze estreme, inflazione, crisi del gas, guerra, pandemia, aggiungo crisi climatica e siccità, anche se raramente vengono citate. Dall’altro lato, chi ha aperto la crisi rivendica il diritto di esercitare la propria libertà, ovvero l’opzione, prevista dalla democrazia così come dalla carta costituzionale, di non votare un provvedimento a proprio avviso sbagliato, nonostante fosse stato “impacchettato” in un voto di fiducia, anzi proprio per quello.

Vecchi vizi e nuovi problemi sulle fragili spalle della democrazia

Guardando questa crisi da un’altezza maggiore, si può dire che il tema è quello della democrazia di fronte alle emergenze, questione di oggi e sempre più di domani e oltre. Da questo punto di vista, entrambi i fronti hanno ragione. Sì, è irragionevole e devastante aprire una crisi in tempi di emergenze estreme; no, è giusto poter esercitare tutte le scelte previste dalla democrazia nonostante la crisi, perché altrimenti saremmo in una sorta di dittatura. D’altronde, Conte stesso era stato mandato via con una crisi di governo, e sempre nel pieno delle emergenze, senza che questo scatenasse violente accuse di irresponsabilità verso chi l’aveva fatto cadere.

Ma al di là di questo, il punto è: che cosa accade alla democrazia quando questa deve affrontare emergenze ampie, forse troppo grandi per le sue fragili spalle? Cosa accade quando ai vecchi problemi, nel caso dell’Italia debito pubblico, burocrazia monstre, diseguaglianze, evasione fiscale, corruzione, strapotere di lobby e caste, ecco che cosa accade quando a questi problemi si aggiungono una pandemia, che forse non sarà l’ultima, una guerra, una crisi spaventosa delle materie prime, inflazione mai vista, siccità e crisi climatica?

Personalmente, temo che nessun governo possa affrontare e risolvere queste sfide, esattamente come sta accadendo per la capitale Roma, dove il sommarsi di problemi ambientali sempre più gravi ai vizi atavici di sempre sta avviando la città verso un pericoloso punto di non ritorno, salvo l’arrivo di centinaia di milioni e soprattutto, ancor più, di poteri speciali.

O dittatura o allargamento radicale della democrazia

Ad ogni modo, di fronte a tutto ciò le difficili strade possibili sono due e sono quelle che ci aspettano per il futuro. O la trasformazione lenta, ma che potrebbe essere anche repentina, della democrazia in una dittatura più o meno soft, sul modello cinese, che governi il caos col pugno duro. Oppure una radicale apertura del palazzo e dei partiti alla società civile, pur con tutta la fatica che comporta. Un rovesciamento totale di punto di vista, dove i partiti ascoltano e i cittadini dicono tutto ciò che hanno da dire, perché il territorio lo vivono. Uno scenario dove i cittadini fanno le loro proposte, per esempio sul fronte ecologico, come sostiene a esempio il movimento di Extinction Rebellion con la sua proposta di assemblee deliberative.

Questo ascolto della società da parte dei partiti dovrebbe andare di pari passo con una rapidissima approvazione di quelle riforme chieste dalla società civile, dall’eutanasia allo ius scholae. Bisognerebbe prevedere un piano serrato di riforme radicali, non un contentino una tantum. A tutto ciò dovrebbe accompagnarsi una legge elettorale che finalmente ci consenta di decidere chi mandare in Parlamento. E sarebbe solo l’inizio.

Paradossalmente, se i partiti scegliessero questa opzione, l’allargamento della partecipazione democratica dovrebbe essere trattato come altrettanto importante della soluzione delle emergenze, ma soprattutto queste ultime non dovrebbero essere brandite – come oggi accade - proprio per evitare un maggiore coinvolgimento dei cittadini e un più radicale esercizio della democrazia.

Partiti, arroccarsi in difesa produce violenza sociale

Nulla di tutto ciò sta accadendo. I partiti al governo, ormai agonizzanti e incapaci di rappresentarci, credono che la soluzione sia l’aggrapparsi sempre più viscerale a un leader forte, che ne maschera la loro incapacità e il loro nulla identitario. Terrorizzati dal voto, aspirerebbero a una sorta di grande coalizione perenne, che possa garantire loro potere senza il fastidio dei riti democratici e tutto ciò in nome della risoluzione delle emergenze.

Purtroppo, questo arroccarsi in difesa non serve. Se si trattasse di una dittatura sul modello cinese, vivremmo la tragedia di non poter dire la nostra opinione sulla piazza, ma avremmo almeno una organizzazione militare del nostro presente e futuro, una pianificazione che guardi agli anni a venire e non all’oggi e che ha fatto della Cina il paese più ricco in tecnologie pulite e in materie prime, visto anche la sistematica acquisizione di territori e risorse africane.

I nostri partiti invece, nonostante i nomi tragicomicamente inneggianti al futuro, di futuro non si occupano, aggrappati come sono al presente senza riuscire a pensare oltre. Il fatto è che, al tempo stesso, non sono davvero in grado di risolvere i problemi vecchi e nuovi, per la loro nullità e incapacità e per l’enormità degli stessi. Ma di nuovo, arroccarsi è una falsa soluzione e dovrebbero saperlo. Basterebbe guardare, per esempio, a ciò che accade in altri Paesi meno ricchi per capire di non essere al sicuro. Vedrebbero come inflazione, assenza di materie prime, crisi climatica stanno portando a rivolte sociali sempre più violente quando non addirittura, come nel caso dello Sri Lanka, a un attacco diretto ai palazzi del potere (con tanto di simbolico bagno in piscina).

Nessuno spazio per una pseudodemocrazia del presente

Questo autunno le piazze saranno costantemente piene, e saranno sempre più tumultuose. Ma chi ci governa è troppo miope per capire che la democrazia è a un bivio. E questo bivio prevede o, ripeto, una fine della democrazia e l’instaurarsi di un potere manifestamente senza ricambio, in nome della gestione delle emergenze. O una democrazia che per non morire si apre a chi può darle nuova linfa: cittadini, associazioni, società civile. Gente che ormai la politica la fa sul campo, difendendo un parco cittadini a colpi di esposti, veglie e denunce, stendendosi per terra sul raccordo anulare di Roma per gridare contro la crisi climatica.

E no, non è prevista una terza opzione, ovvero quello di una pseudodemocrazia degli stessi che finga di risolvere problemi, mentre studia unicamente come autoconservarsi meglio. Non è prevista perché, appunto, i problemi non risolti e non governati sono così immensi che finiranno per travolgere, anche malamente, chi si aggrappa agli scranni. È su questo che bisognerebbe riflettere, ancor prima ancora di decidere se aprire una crisi o tacciare di irresponsabilità chi l’ha innescata.

Leggi anche
Politica
di Cristina Sivieri Tagliabue 4 min lettura
Politica
di Redazione 1 min lettura