Futuro

Lavoro flessibile e nomadismo digitale sono il futuro?

L’avvento dello smart working non ha generato un cambio di paradigma solo nei nuovi equilibri tra lavoro e quotidianità. Ci ha anche portatə a ripensare gli spazi in cui conduciamo, o vorremmo condurre, le nostre vite
Credit: Johnson Wang/Unsplash
Tempo di lettura 8 min lettura
15 luglio 2022 Aggiornato alle 15:00

Se la pandemia ha portato qualcosa di buono, quello di sicuro è stato la normalizzazione dello smart working.

Prima di marzo 2020, perfino nelle aziende in cui il lavoro flessibile era previsto da contratto per alcuni giorni al mese veniva guardato con sospetto, quasi fosse “meno lavoro”, mentre ora è solo di qualche giorno fa la notizia che nei Paesi Bassi la Camera ha sancito che lavoratori e lavoratrici potranno chiedere una modifica del contratto e prolungare il periodo dello smart working. Ə datorƏ di lavoro che decidessero di rifiutare saranno tenutƏ a fornire una giustificazione.

Se il provvedimento passerà al Senato, i Paesi Bassi diventeranno il primo Paese a garantire il lavoro da remoto nella propria legislazione, accaparrandosi un nuovo primato sulla qualità della vita.

Nel contesto della pandemia lo smart working è diventato essenziale per poter ridurre i contatti (e con essi i contagi) e mantenere comunque la produttività. Ma i benefici del lavoro flessibile vanno oltre il momento dell’emergenza. Lavorare da casa porta a una diminuzione dei costi per le aziende e per chi lavora e un aumento generale della qualità della vita.

Se da un lato è vero che rimangono a carico deƏ lavoratorƏ maggiori spese dovute alle utenze domestiche, dall’altro diminuiscono i costi del trasporto casa-lavoro in termini sia economici che di tempo. Lavorare da casa consente un utilizzo molto più efficiente del tempo, sfruttando i momenti morti e le piccole pause per svolgere incombenze che magari verrebbero rimandate alla sera o al week-end.

Per essere efficienti e produttivƏ non è necessario stare inchiodatƏ a una scrivania per otto ore al giorno. Anzi, potersi organizzare la giornata secondo le proprie esigenze personali e familiari, avere più tempo per svolgere attività gratificanti, non dover subire lo stress di spostamenti, mezzi pubblici affollati o in ritardo rende lavoratori e lavoratrici più soddisfattƏ e più produttivƏ.

Un altro dei lati positivi dell’avanzare dello smart working è stata l’impennata nellalfabetizzazione digitale. Il passaggio forzato al digitale si è rivelato estremamente utile non solo per il lavoro, ma per qualsiasi ambito della vita dove la tecnologia sta prendendo sempre più piede: dall’informarsi, all’organizzare un viaggio, all’aprire un conto in banca, fino a prenotare la visita dal medico.

L’avvento del lavoro flessibile da casa, però, non ha generato un cambio di paradigma solo per quanto riguarda i nuovi equilibri tra lavoro e vita privata, ma ci ha anche portatƏ a ripensare gli spazi in cui conduciamo, o vorremmo condurre, le nostre vite.

Nel nostro Paese un fenomeno che è andato di pari passo con l’aumento del numero di occupatƏ da remoto (circa 9 milioni dall’inizio della pandemia, secondo l’Istituto Nazionale delle Politiche Pubbliche - Inpp) è stato l’aumento dell’acquisto di seconde case. Come evidenziano i dati della Federazione Italiana Agenti Immobiliari Italiani, a fine 2021 sono state acquistate 180.000 unità, per un incremento pari al 44% in più rispetto all’anno precedente.

A questo si aggiunge il fatto che, sempre secondo l’Inpp, ben un terzo deƏ italianƏ vorrebbe spostarsi in un piccolo centro per vivere e lavorare, mentre il 40% sceglierebbe addirittura un luogo isolato.

Secondo un’analisi della 24ore Business School, questa tendenza potrebbe arrestare, se non addirittura invertire, il fenomeno dello spopolamento dei piccoli borghi, soprattutto nelle aree montane o comunque non facilmente raggiungibili.

In quest’ottica il 13 ottobre dell’anno scorso è stato assegnato alla Commissione Permanente per gli Affari Costituzionali il disegno di legge per la promozione del lavoro agile nei piccoli borghi. Il ripopolamento non solo porterebbe benefici per via dell’aumento dei servizi creando (o ricreando), in un circolo virtuoso, posti di lavoro consentendo così a chi già ci vive di poter rimanere.

L’arrivo di lavoratori e lavoratrici qualificatƏ, che necessitano di strumenti tecnologici per svolgere il proprio mestiere, aumenterebbe anche l’offerta di servizi come per esempio connessioni internet più potenti, rendendo disponibile e democratico l’accesso a cultura e informazione anche a chi non ha la possibilità di raggiungere i grandi centri urbani.

Dall’ altro, lato il ripopolamento contribuirà a non perdere il patrimonio culturale locale, gli usi, le tradizioni e la memoria, la valorizzare il territorio e le piccole attività locali.

Insomma, la prospettiva è che un’altra fetta di lavoratorƏ fino a oggi confinatƏ in un ufficio possano essere incentivatƏ a unirsi al gruppo già consistente deƏ nomadi digitali.

Il nomadismo digitale interessava all’inizio principalmente località esotiche che garantiscono, oltre agli splendidi paesaggi, anche un buon clima e una buona qualità della vita come Madeira, Zara, Malta e Creta, ma durante la pandemia sono diventate mete ambite anche città come Bucarest o Tallin.

Secondo il Secondo Rapporto sul Nomadismo Digitale recentemente una delle mete più ambite da nomadi digitali risulta essere l’Italia. DeƏ circa duemila remote workers intervistatƏ, il 76% dichiara di preferire come meta il Mezzogiorno e le isole.

L’ Italia ha colto al balzo l’occasione e ha previsto incentivi per attirare nel nostro Paese un numero sempre maggiore di lavoratorƏ. Per entrare in Italia servirà solo un visto specifico di un anno e coloro che ne faranno richiesta saranno esclusƏ dalle quote annuali del decreto flussi, che prevede al massimo l’ingresso di 69.700 lavoratori e lavoratrici all’anno, di cui 42.000 per gli impieghi stagionali.

Insomma, lo smart working fa bene a chi lavora, alle aziende, alle economie e persino al territorio. Ma è tutto oro quel che luccica? Naturalmente no.

Innanzitutto c’è da considerare un aspetto di equità e giustizia. Non tutti i lavori consentono lo smart working, e anche per chi ha la possibilità di usufruirne può risultare impossibile spostarsi.

Se da un lato è auspicabile mettere in atto azioni che facilitino la mobilità digitale, è altrettanto importante continuare a monitorare il benessere deƏ tantƏ occupatƏ che restano ancora legatƏ a un’idea più tradizionale di lavoro.

Non va poi dimenticato che lavorare costantemente da remoto implica il possesso di skills che non tuttƏ abbiamo o possiamo sviluppare: il lavoro in solitaria comporta moltissima disciplina, capacità di autogestione e organizzazione del tempo.

Il secondo luogo, il nomadismo ha intrinseca in sé l’idea dello spostamento continuo. Sempre secondo il Rapporto sul Nomadismo Digitale il 42% deƏ intervistatƏ ha dichiarato di voler trascorrere nella meta scelta un periodo tra 1 e 3 mesi, il 25% un periodo tra 3 e 6 mesi, mentre solo il 20% sarebbe disposto a fermarsi più a lungo.

Per un’efficace valorizzazione del territorio è necessario pensare a iniziative di lungo termine che coinvolgano persone che desiderano restare e fare un investimento, non solo economico ma soprattutto emotivo.

Un altro punto di attenzione è sollevato da chi ritiene che la vita da nomade digitale non sia sostenibile sul lungo periodo e che alla fine il desiderio di stabilità di luoghi e affetti tenda a prevalere.

Se è vero che il mondo è sempre più connesso nonostante la distanza fisica, dall’altro la teoria economica ci insegna che la concentrazione di risorse è più funzionale della dispersione perché consente la creazione di collaborazioni e partnership utili alla crescita e all’innovazione. Questo vale per qualsiasi forma di capitale, incluso (e forse soprattutto) per quello umano.

Forse anche per questo stanno nascendo sempre più iniziative che consentono ai nomadi digitali di trovarsi nello stesso luogo e fare rete. Come sostiene l’economista Edward Glaeser nel suo saggio “Il trionfo della città”, le interazioni elettroniche non rendono obsoleto il contatto diretto e la prossimità è ancora un grande fattore di accelerazione del flusso delle invenzioni.

Come ultimo punto, forse non dovremmo troppo sopravvalutare il nostro desiderio di “ritorno alla natura”. Gli ultimi due anni ci hanno vistƏ costrettƏ tra le quattro mura di casa, spesso in contesti urbani e soffocanti e il desiderio di fuggire potrebbe essere solo una reazione temporanea.

Sempre Glaeser mette in luce come la vicinanza e la densità creino enormi vantaggi, come il rapido diffondersi di conoscenza che sbocca in scoperte innovative (le città sono fin dalla loro nascita luoghi di scambio di idee) o la riduzione dei costi delle infrastrutture, dei servizi e dell’intrattenimento grazie all’economie di scala che abbattono i costi fissi.

Viene quindi da chiedersi se per recuperare autenticità e lentezza nella vita quotidiana sia davvero necessario fuggire dalle città e rifugiarsi nell’ isolamento dei boschi, o se piuttosto non sia possibile ripartire da qui per ripensare una vita più sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che personale, dando una chance a un ambiente urbano in evoluzione che probabilmente diventerà sempre più moderno e human friendly.

Quello che è certo è che al momento stiamo guardando un fenomeno ancora in divenire. Le liste dei pro e dei contro del lavoro flessibile e del nomadismo digitale sono ancora lungi dal considerarsi esaustive.

Di sicuro la pandemia e l’affermarsi dello smart working ci hanno mostrato che è possibile conciliare le esigenze e i desideri della vita personale con quelli della vita lavorativa, ci hanno aiutato ad accantonare idee tradizionali e obsolete come il presenzialismo e l’idea del lavoro 9-18. In una parola ci ha costrettƏ a ripensare la nostra idea di lavoro.

Comunque vada, da qui in avanti questa è una conquista che nessuno ci può togliere.

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