Futuro

La scuola per il digitale migliora

Dottorati e Its ridurranno il ritardo italiano nelle competenze digitali dei lavoratori registrato dalla Commissione europea. Ora resta quello degli imprenditori e dei manager segnalato dall’Ocse. Urgente una policy che affronti anche questo aspetto
Credit: Simon Lee
Tempo di lettura 4 min lettura
14 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

Migliaia di nuovi dottorati. Di cui già oltre 200 concentrati sull’intelligenza artificiale. Un nuovo statuto per gli Its che rilancia questa soluzione formativa veloce e, nelle intenzioni, professionalizzante. Il sistema educativo italiano si muove, pensando alle imprese. In un contesto storico nel quale lo sviluppo è densamente collegato alla tecnologia digitale. Sono buone notizie. Che ne aspettano altre.

Già. In questi giorni si può rispondere alla call per i nuovi dottorati di ricerca per progetti di intelligenza artificiale. Il Cnr con cinque università - università di Pisa, Sapienza di Roma, Campus biomedico di Roma, Politecnico di Torino, Federico II di Napoli - sono leader dei diversi settori applicativi di questa tecnologia: scienze della vita, industria 4.0, sicurezza, ambiente e agricoltura, società, mentre 61 università sono coinvolte per i corsi di base e certe attività di ricerca. Tutti questi dottorati che saranno pronti tra tre o quattro anni non verranno tutti impiegati in università. Molti sono destinati a lavorare in aziende pronte ad accoglierli.

Intanto, dopo anni di critiche al sistema degli Istituti Tecnologici Superiori (Its) italiani - finora considerati poco attraenti in confronto per esempio agli analoghi percorsi di studio tedeschi, con una popolazione frequentante che non arrivava in Italia a un decimo di quella che si vedeva in Germania - il Parlamento ha deciso un rilancio, sulla scorta di una forte spinta del Governo. Questi istituti saranno pensati e gestiti con un importante apporto delle imprese e se le imprese investiranno in questi istituti avranno corposi incentivi fiscali: il 60% degli insegnamenti dovranno essere realizzati da persone che vengono dal mondo del lavoro; gli investimenti delle aziende negli Its produrranno un 30-60% di credito di imposta; la governance avrà nelle imprese fondatrici un punto di riferimento essenziale.

Per un paese come l’Italia che è ancora ultimo nella classifica europea della disponibilità di personale qualificato nelle tecnologie digitali - come attesta il Digital Economy and Society Index (Desi) - queste sono tutte buone notizie. Lo sviluppo economico non è possibile senza innovazione digitale e l’innovazione digitale non è possibile senza persone competenti.

Ora le imprese che lamentano la mancanza di tecnici per il loro sviluppo avranno un po’ meno problemi. Ma la scarsità di competenze, purtroppo, non è mai stata soltanto dalla parte dei lavoratori. Secondo uno studio dell’Ocse pubblicato nel marzo scorso (“Closing the Italian digital gap”), in Italia, la sensibilità degli imprenditori e i manager per il digitale è una delle cause essenziali dell’arretratezza digitale italiana. Se i leader delle aziende sono tanto spesso incapaci di comprendere l’importanza della tecnologia digitale, allora le politiche che incentivano l’adozione del digitale e che investono nel miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori rischiano di avere impatto limitato. L’Ocse osserva come durante la pandemia le aziende italiane che avevano già compreso il digitale hanno accelerato le performance, lasciando indietro quelle che non hanno ancora capito questa tecnologia.

Imprese che non investono nel digitale, che non pagano i lavoratori specializzati nelle tecnologie digitali adeguatamente, che non si avviano sulla strada di imparare a lavorare nell’epoca digitale, non solo restano indietro nel mercato internazionale, ma producono colli di bottiglia nel mercato del lavoro che aumentano le probabilità che i tecnici italiani siano indotti a cercare lavoro in aziende straniere o a andare a lavorare all’estero. In questo caso, anche gli investimenti in educazione del governo italiano sarebbero poco valorizzati. Questo diventerebbe un grosso problema, visto che il Pnrr è in larga parte nuovo debito che l’Italia potrà ripagare soltanto se gli investimenti che ha reso possibili si riveleranno produttivi. Forse vale la pena di creare grossi incentivi anche per gli imprenditori e i manager che devono “imparare il digitale”.

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