Economia

Quello che le donne non percepiscono

L’ultimo rapporto annuale dell’Inps sottolinea come il divario retributivo di genere colpisca in modo trasversale il mercato del lavoro, afflitto da disuguaglianze crescenti che si riflettono sul sistema pensionistico
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Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
13 luglio 2022 Aggiornato alle 15:00

Nel 2021 il 23% dei lavoratori italiani ha guadagnato meno di 780 euro al mese, mentre l’1% dei lavoratori meglio retribuiti ha visto un ulteriore aumento di un punto percentuale. È quanto emerge dal rapporto annuale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) presentato l’11 luglio alla Camera dei deputati.

«La distribuzione dei redditi all’interno del lavoro dipendente si è ulteriormente polarizzata, con una quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza», afferma il presidente dell’Inps Pasquale Tridico.

Considerando anche il lavoro part-time, quasi un lavoratore su tre guadagna meno di 1.000 euro al mese. Numeri allarmanti anche senza bisogno di confrontarli con quelli dell’Europa, dove secondo i dati Eurostat al 2019 a essere povero è l’11,8% dei lavoratori italiani contro una media europea del 9,2%.

Nonostante nel 2021 la platea sia aumentata, molti dei nuovi lavoratori immessi sono impiegati per un numero ridotto di ore e percepiscono retribuzioni «che non permettono ai singoli di vivere dignitosamente», si legge nel rapporto.

All’origine del problema anche il moltiplicarsi delle forme contrattuali, che oggi hanno raggiunto la cifra record di 1.011. «Troppe e spesso non rappresentative», commenta Tridico, che per contenere le disuguaglianze invoca il salario minimo e un riassetto della disciplina contrattuale.

La situazione non migliora se guardiamo alle pensioni, dove il 40% sul totale di 16 milioni di pensionati ha percepito un reddito lordo inferiore a 1.000 euro al mese, dato che scende al 32% se si considerano integrazioni al minimo, trasferimenti e maggiorazioni.

Inoltre, da un’analisi del 20% più povero tra i pensionati – fino a 10.000 euro l’anno – emerge come appena il 15% dei pensionati in questa fascia riceva un assegno sociale, mentre solo al 26% viene riconosciuta una pensione ai superstiti.

«Abbiamo bisogno di più lavoro e di lavoro meglio retribuito se vogliamo assicurare al Paese la sostenibilità del suo sistema di welfare», afferma Tridico, altrimenti «chi è povero lavorativamente oggi sarà un povero pensionisticamente domani».

Per allargare la base contributiva, oltre al recupero dell’evasione fiscale, Tridico suggerisce misure che puntano a investire sulla formazione anche attraverso la valorizzazione ai fini pensionistici del corso di studi universitari.

Un’altra proposta è quella di regolarizzare i cittadini stranieri per coprire i posti di lavoro non sostituiti a causa dell’invecchiamento della popolazione. «Il problema dell’immigrazione straniera e della sua regolarizzazione può e deve essere inquadrato in Italia anche nella prospettiva di tenuta del sistema previdenziale del Paese», conclude il presidente dell’Inps.

Ma a essere sfavorite in modo trasversale sono le donne, che guadagnano il 25% in meno rispetto alla media maschile e la cui retribuzione è rimasta sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti a 20.415 euro annui. Non solo. La percentuale delle donne che lavorano part-time è pari al 46% contro il 18% degli uomini, il dato più alto dell’Unione europea.

Infine, sebbene le donne rappresentino il 52% sul totale dei pensionati, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici. L’importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini è 1.884 euro lordi, del 37% superiore a quello delle donne, pari a 1.374 euro.

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