Ambiente

L’innaturale rumore del mare

L’inquinamento acustico legato all’estrazione mineraria sui fondali marini rischia di danneggiare la popolazione degli oceani. Per questo un team di ricercatori chiede regole più stringenti
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Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
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13 luglio 2022 Aggiornato alle 19:00

L’inquinamento acustico derivante dall’estrazione mineraria in acque profonde potrebbe irradiarsi attraverso l’oceano per una distanza di 500 km in condizioni di clima mite. È quanto rivela uno studio pubblicato su Science realizzato da un gruppo di ricercatori che coinvolgono l’Ocean Initiative, il National Institute of Advanced Industrial Science and Technology (Aist) in Giappone, la Curtin University in Australia e l’Università delle Hawaii.

Nel mirino l’attività estrattiva nella cosiddetta zona di frattura Clarion-Clipperton, un’area dell’oceano Pacifico nord-equatoriale che si estende per 4,5 milioni di km² tra il Messico e le Hawaii. La zona è nota per essere ricca di noduli polimetallici, concrezioni minerali tondeggianti che si depositano sui fondali marini dalle quali è possibile ricavare nichel, manganese, rame, zinco, cobalto e altri metalli di cui va ghiotta l’industria automobilistica e tecnologica per la produzione di smartphone e batterie elettriche.

Secondo l’analisi, i livelli di rumore in un raggio di 4-6 km da ciascuna miniera potrebbero superare le soglie fissate dal National Marine Fisheries Service, l’agenzia federale responsabile della gestione delle risorse marine degli Stati Uniti, al di sopra delle quali esistono rischi di impatti comportamentali sui mammiferi marini.

In passato si riteneva che le pianure abissali fossero per lo più prive prive di vita, ma ricerche recenti testimoniano un ecosistema ricco di biodiversità faunistica che ospita anemoni, spugne, coralli, briozoi e protozoi, invertebrati come i nematodi e gli isopodi e perfino il polpo Casper, una specie di “polipo fantasma”, così ribattezzato dagli scienziati dopo averlo scoperto nel 2016 a 4.000 metri di profondità.

«Il mare profondo ospita potenzialmente milioni di specie che devono ancora essere identificate e i processi che avvengono lì consentono l’esistenza della vita sulla Terra», ha dichiarato al Guardian l’ecologista dell’Aist Travis Washburn. La ong Pew Charitable Trusts che finanzia lo studio stima come il 90% delle specie incontrate dai ricercatori nella zona di frattura del Pacifico fosse ignota alla scienza.

Se tutti i 17 appaltatori che stanno valutando la possibilità di minare l’area intraprendessero le loro attività nello stesso momento, gli studiosi sostengono che si produrrebbe un rumore ad alta intensità su un’area di 5,5 milioni di km², una superficie superiore a quella dell’Unione europea.

«Se la nostra modellazione è corretta, potrebbe richiedere un ripensamento delle normative ambientali, incluso il numero di operazioni minerarie consentite all’interno della zona di frattura di Clipperton», osserva Craig Smith, oceanografo all’Università delle Hawaii e coautore dello studio.

Per questo i ricercatori hanno chiesto all’Autorità internazionale dei fondali marini (Isa), l’organizzazione intergovernativa affiliata alle Nazioni Unite che regola l’estrazione mineraria in acque profonde, di adottare il principio di precauzione e consentire il funzionamento di una o due miniere alla volta finché non verrà compreso il reale impatto dell’inquinamento acustico.

Ad aprile di quest’anno, l’Isa è stata accusata di avere una governance poco trasparente in seguito all’estromissione dell’Earth Negotiations Bulletin, una divisione dell’Istituto Internazionale per lo Sviluppo Sostenibile coinvolta nei negoziati dell’Autorità.

Intanto gli appaltatori sono stati esortarti a rilasciare «in maniera tempestiva» informazioni sulle caratteristiche della sorgente sonora associata ai componenti utilizzati per l’estrazione. L’inquinamento acustico, tuttavia, è solo l’ultima delle preoccupazioni legate all’estrazione dei noduli.

La prima riguarda la sopravvivenza dei noduli stessi, che crescono di circa un centimetro ogni milione di anni e il cui acciottolato è spesso l’unico substrato duro presente sul fondale di argilla morbida degli oceani. Per questo sono ritenuti un ancoraggio indispensabile per l’habitat di molte specie viventi.

L’attività estrattiva, inoltre, solleverebbe polveri fangose che resterebbero sospese in acqua in assenza di forti correnti in grado di disperderle. «Animali delicati catturati in queste nubi e incapaci di nuotare via, come coralli e spugne, resterebbero soffocati», spiega la biologa marina Helen Scales nel saggio The Brilliant Abyss.

L’Isa dovrebbe definire i suoi regolamenti minerari entro luglio 2023, come sollecitato dall’isola di Nauru in Micronesia che a giugno dell’anno scorso si è appellata a una clausola della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare per accelerare le pratiche necessarie a intraprendere l’estrazione.

Ma governi e associazioni ambientaliste ritengono che i tempi non siano maturi, e in risposta alle richieste della repubblica più piccola del mondo il WWF ha lanciato una moratoria sulle attività estrattive sottoscritta da Google, Bmw, Volvo e Samsung SDI.

«Sebbene sia ancora necessario molto lavoro per determinare l’entità degli impatti ambientali dell’estrazione nelle acque profonde», ha concluso Travis Washburn, «con uno studio e una gestione attenta abbiamo un’opportunità unica per comprendere e mitigare gli impatti umani sull’ambiente prima che si verifichino».

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