Mosca, celebrazioni 100 anni dalla Rivoluzione d'Ottobre
Mosca, celebrazioni 100 anni dalla Rivoluzione d'Ottobre (Maria Michela D'Alessandro)
Culture

URSS, quanta nostalgia!

A trent’anni dalla caduta dell’Unione Sovietica, sembra quasi contraddittoria la maniera in cui i russi ricordano la fine di un’era storica, tra nostalgia e il potere assoluto di Vladimir Putin.
di Maria Michela D'Alessandro
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26 dicembre 2021 Aggiornato alle 10:00

Erano le 19:27 del 25 dicembre 1991 quando la bandiera rossa con falce e martello scendeva per sempre dal pennone del Cremlino, preceduta dall’ultimo drammatico discorso di Mikhail Gorbaciov: “Lascio questa carica con inquietudini, ma anche con speranza”. Sono solo alcune delle parole che risuonano ancora nella memoria di storici, politici e nostalgici del più grande Stato comunista del mondo nato con la rivoluzione bolscevica, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

30 anni fa non veniva solo messa la parola fine all’URSS. Da quel giorno niente fu più come prima, e il mondo cambiò per sempre. L’evento, di enorme portata storica, pone infatti anche fine all’epoca chiamata “bipolare”: dopo la Seconda Guerra mondiale e la sconfitta del nazifascismo, USA e URSS con le loro incompatibili visioni del mondo (e la loro volontà di influenza geopolitica) portano al formarsi di due campi antagonisti, destinati a dar vita alla costituzione di un nuovo ordine mondiale - appunto - bipolare.

Dalla perestrojka di Gorbaciov al golpe

Già, Gorbaciov. Le parole d’ordine da lui lanciate col suo avvento al comando, “perestrojka” (ricostruzione) e “glasnost” (trasparenza), sono le basi del programma di rinnovamento dell’intero sistema sovietico. Parole e concetti che tutto l’Occidente impara a conoscere in poco tempo, ma che in patria non resisteranno a lungo, venendo indissolubilmente legate al crollo dell’intero sistema.

Quello di Gorbaciov è un programma antistalinista e fortemente critico del periodo di stagnazione dell’età di Breznev, ma comunque non antisocialista; Mikhail, nominato uomo dell’anno dalla rivista Time nel 1988, vuole riformare dall’interno il sistema nato dalla Rivoluzione d’Ottobre, eliminanandone le degenerazioni, gli errori, le rigidità e il conservatorismo, ridimensionando il ruolo del partito e dello Stato nell’economia e nella società, coniugando socialismo e democrazia, pianificazione e mercato.

Il “Wind Of Change” di cui cantano in quegli anni gli Scorpions, e che diventa un inno alla libertà conquistata con la caduta del muro di Berlino, si incontra con il processo di rinnovamento di Gorby: ma le rigide strutture burocratico-centralistiche sovietiche non vanno d’accordo con la realtà complessa di quegli anni e con dinamiche geopolitiche in evoluzione, viste anche le resistenze degli interessi consolidati e cristallizzati nei decenni come quelli della nomenklatura. Ci sono tensioni, crisi ricorrenti, tendenze centrifughe, spinte contraddittorie in tutti i settori della società, e l’economia è a pezzi. Sono gli anni dei primi scioperi autorizzati, dei conflitti etnici nel Nagorno Karabakh, di tensioni che tuttora sono incandescenti in alcune repubbliche sovietiche, dall’Ucraina alle repubbliche baltiche.

Il 1989 è un anno decisivo non solo per l’inizio della riunificazione tedesca: sempre in quell’anno ad agosto nasce in Polonia il primo governo non comunista dell’Europa orientale sovietizzata, crollano poi i vecchi regimi in Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania, fino ad arrivare al 1990 con le dichiarazioni di indipendenza e sovranità delle tre repubbliche baltiche un tempo sotto l’Unione Sovietica e della Georgia, cui segue la Russia, la repubblica più importante dell’Unione, e poi ancora altre 9 repubbliche.

L’estate del 1991, con l’elezione a presidente della Repubblica Russa di Boris Eltsin, dà luogo a un vero e proprio dualismo di poteri tra i governi russo e sovietico. Il potere centrale è così drasticamente indebolito, e il caos è così all’orizzonte. Il 19 agosto 1991 è una data da segnare col circoletto rosso: si compie un tentato colpo di stato organizzato da alcuni esponenti di spicco del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), del Governo e delle forze armate, per riportare al potere i comunisti conservatori. L’immagine di Eltsin che, in piedi su un carro armato davanti al Parlamento, denuncia il golpe e annuncia resistenza a ogni costo, farà il giro del mondo e lo incoronerà vero detentore del potere.

La fine di Gorbaciov e la “disintegrazione della Russia storica”

Gorbaciov lascia la carica di segretario generale del partito, il PCUS viene poi sciolto dal parlamento russo e i suoi beni confiscati. Da lì si assiste allo sgretolamento definitivo dell’Unione Sovietica: l’8 dicembre 1991 Eltsin e i presidenti di Ucraina e Bielorussia proclamano la nascita della Comunità degli Stati Indipendenti, e il 21 dicembre la Dichiarazione di Alma-Ata (la di trattati che rappresentano i principi di fondazione della Comunità degli Stati Indipendenti) estende l’accordo alle rimanenti repubbliche, con l’esclusione di Lituania, Estonia, Lettonia e Georgia, ormai pienamente indipendenti e nemmeno incluse nell’ombrello della CSI.

Usando le parole del giornalista Demetrio Volcic, tra i maggiori esperti dei paesi ex URSS e del blocco orientale, da poco scomparso: “Gorbaciov ha perso la partita. Si era scordato di Shakespeare, che all’incirca diceva: chi perde tempo sarà da esso perduto. Eltsin non vuole ripetere gli errori degli zar, che giustificavano la propria politica con la tesi ‘Non si tiene un regno dal Baltico alla Cina senza un assolutismo più o meno illuminato’. A Eltsin interessava la Russia, non gestire un impero”.

Dalla dissoluzione dell’URSS nascono stati indipendenti in Europa (Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia e Lituania), nel Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian), in Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan). E nasce appunto la Federazione Russa, nella maggior parte di quello che era stato il territorio sovietico…

“È stata una disintegrazione della ‘Russia storica’ evolutasi sotto il nome di Unione Sovietica”, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin ricordando i fatti che portarono alla caduta dell’Urss. In mezzo, 30 anni in cui lo stesso Putin a partire dal 1999 ha costruito una nuova Russia sulle ceneri dell’era-Eltsin. Un’era ritenuta da alcuni un “genocidio economico”, a causa dell’aumento repentino del costo della vita, di una iperinflazione galoppante e del ridimensionamento eccezionale del prodotto interno lordo.

Putin, l’ex agente del KGB nominato primo ministro a seguito delle dimissioni di Eltsin, si insedia nella notte di Capodanno di quasi 22 anni fa, con i rintocchi dell’orologio del Cremlino che segnano l’inizio del nuovo millennio e la fine della Russia sovietica. L’inizio di un’era politica che da lì non è più andata avanti, non ha più cambiato leader, ferma a quel giovane intraprendente di poche parole e dal viso pulito, che era col senno di poi sappiamo essere il leader russo più longevo di sempre secondo solo a Stalin.

Nostalgia canaglia

In questo quadro, sembra quasi contraddittoria la maniera in cui i russi ricordano il crollo dell’URSS: da una parte felici del cambiamento verso il quale li ha portati Putin, dall’altra nostalgici di un modo di vivere “sovietico” che tuttavia quasi sicuramente non tornerà più. Si dice che il potere assoluto di Putin derivi proprio dall’aver “disegnato” la Russia come fosse una superpotenza e aver promesso ai russi che restasse effettivamente tale. Famosa la sua frase: “Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello, chi non lo rimpiange è senza cuore”. È come se spesso “Vova”, come viene chiamato informalmente in Russia, cambiasse posizione nel ricordare gli anni passati: lui che ha dichiarato di aver dovuto lavorare anche come autista privato per guadagnare soldi extra durante gli anni del crollo dell’URSS, ma che in occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre ha preferito rimanere in silenzio.

Eppure, quella “ностальгия” (nostalgija in russo) per l’Unione Sovietica è diventata un fenomeno sociale. Fenomeno verso un’era che davvero non esiste più: né per la sua politica, né come società, né come cultura e neppure semplicemente come estetica estetica. A fotografare questo fenomeno, i risultati di una indagine dell’Istituto di ricerca indipendente Levada, pubblicati a marzo 2020: 3 russi su 4 pensano che l’epoca sovietica sia stato il periodo migliore nella storia del loro Paese (solo il 18% era di opinione contraria). Tra le motivazioni elencate, la stabilità proiettata anche verso il futuro, o semplicemente perché “si viveva bene” prima dell’implosione dell’impero sovietico. Tra gli aspetti negativi di quel periodo, invece, le file per comprare i beni di prima necessità e il sistema di vendita con tessere di razionamento.

Quel che è certo è che il busto di Lenin continuerà comunque ad apparire a ogni angolo, a Mosca, e la nostalgia per l’Unione Sovietica - nonostante i negozi aperti 24 ore su 24 in città e il capitalismo trionfante a ogni angolo - non se ne andrà via facilmente