Ambiente

Il solare dell’avvenire

Oggi l’80% dei componenti del fotovoltaico viene prodotto in Cina. Una concentrazione che rende vulnerabili le catene di approvvigionamento, rappresentando un fattore di rischio per la transizione globale all’energia pulita
Credit: Zhu Xiang/Xinhua via ZUMA Wire
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
12 luglio 2022 Aggiornato alle 19:00

Dal 2011 a oggi, la Cina ha investito oltre 50 miliardi nel fotovoltaico, 10 volte più dell’Europa, superando Giappone e Stati Uniti e creando più di 300.000 posti di lavoro. Oggi la Repubblica popolare detiene l’80% della filiera produttiva, una quota che nei prossimi anni potrebbe raggiungere il 95%.

A fare il quadro di quello che si presenta come un regime di quasi-monopolio è l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), secondo il quale fino al 2025 il mondo dipenderà “quasi completamente” dalla Cina per la produzione dei componenti essenziali del fotovoltaico come polisilicio, lingotti, wafer, celle e moduli.

La sola regione dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, è responsabile del 40% della produzione mondiale di silicio policristallino, o polisilicio, la principale materia prima per la produzione di celle fotovoltaiche. Una concentrazione del mercato che, secondo l’Aie, rappresenta un fattore di «considerevole vulnerabilità».

«La Cina è stata determinante nel ridurre i costi del fotovoltaico a livello globale, con molteplici vantaggi per le transizioni di energia pulita», ha affermato il direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol. «Allo stesso tempo, il livello di concentrazione geografica nelle catene di approvvigionamento globali pone anche potenziali sfide che i governi devono affrontare».

L’impennata dei costi delle materie prime e i colli di bottiglia delle catene di fornitura hanno visto crescere il prezzo dei pannelli solari del 20% nell’ultimo anno e determinato ritardi nei tempi di consegna con effetti critici per il commercio su larga scala.

La questione però non è solo geopolitica, ma anche legata a possibili fattori di rischio come terremoti, incendi, inondazioni o guasti tecnici. «Le catene di approvvigionamento globali del fotovoltaico dovranno essere ampliate in modo da garantire che siano resilienti, convenienti e sostenibili», ha aggiunto Birol.

Il rapporto mette in luce come la produzione di elettricità del fotovoltaico è ancora alimentata per lo più dai combustibili fossili, a causa del ruolo del carbone nelle regioni della Cina in cui si concentra la produzione. Decarbonizzare e diversificare l’indotto sono le parole chiave per ridurre l’impatto ambientale del comparto e renderlo più stabile.

I vantaggi sono anche economici. Secondo lo studio, infatti, i nuovi impianti di produzione potrebbero attrarre investimenti per 120 miliardi di dollari entro il 2030. Per lo stesso anno, inoltre, il settore avrebbe il potenziale di generare fino a 1 milione di posti di lavoro, 1.300 unità per ogni gigawatt di capacità produttiva.

A incentivare la transizione, in seguito all’invasione dell’Ucraina, è anche la necessità di emanciparsi dal gas russo. Il recente piano REPowerEU varato dalla Commissione europea per far fronte all’emergenza energetica punta a raggiungere 320 GW di solare fotovoltaico di nuova installazione entro il 2025, circa il doppio rispetto ai livelli attuali, per arrivare a quasi 600 GW entro il 2030. Questa capacità supplementare consentirà di evitare il consumo di 9 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno entro il 2027.

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