Futuro

L’emergenza casa non conosce crisi

L’incapacità di potersi garantire un’abitazione dignitosa è un problema che riguarda quasi 1,47 milioni di famiglie italiane
Urban patterns a Manarola (SP)
Urban patterns a Manarola (SP) Credit: Ricardo Gomez Angel/unsplash

La casa è un diritto. A dirlo non è solo l’umana decenza, ma anche l’articolo 47 della Costituzione e numerose sentenze della Consulta, come quella che il 24 marzo 1999 ha stabilito che «il diritto a una abitazione dignitosa rientra, innegabilmente, fra i diritti fondamentali della persona». Eppure, per milioni di italiani queste parole continuano a rimanere lettera morta.

Anno dopo anno, i numeri dell’emergenza abitativa – un fenomeno che ha avuto varie definizioni ma che, essenzialmente, definisce l’incapacità di potersi garantire un’abitazione dignitosa – continuano a raccontare una situazione critica che coinvolge centinaia di migliaia di cittadini e una sistemica incapacità di intervento.

Emergenza abitativa: un fenomeno che non conosce crisi

Secondo lo studio Dimensione del disagio abitativo Pre e Post emergenza Covid-19 di Nomisma e Federcasa, il disagio abitativo riguarda poco meno di 1,470 milioni di famiglie. Di queste 1,150 milioni vivono in affitto e le altre 320.000 in case di proprietà. 780.000 sono in uno stato di disagio “Acuto”, 690.000 in disagio “Grave”.

Per avere un’idea più chiara, chi vive una situazione di disagio acuto ha un reddito medio annuo di 6.100 euro e si trova a dover sostenere un canone annuo di locazione di 4.530 euro se è in affitto o una rata annua del mutuo di 6.830 euro se ha una casa di proprietà. Detto più semplicemente, si tratta di famiglie che vivono una condizione economica tale per cui non sono in grado di sostenere le spese per un’abitazione.

Un fenomeno che i cosiddetti “alloggi di edilizia residenziale pubblica” (ERP) possono solo attenuare, essendo sufficienti solo per 750.000 famiglie, la metà di chi ne ha veramente bisogno.

Un contesto drammatico, a cui si aggiungono oltre 50.000 persone senza fissa dimora e, dal 1° gennaio, la ripresa degli sfratti dopo il blocco introdotto dal governo Conte II nel marzo 2020 per far fronte agli effetti della pandemia. L’Unione Inquilini parla di almeno 120.000-150.000 famiglie a rischio, a cui si aggiungono tra le 50.000 e 100.000 esecuzioni immobiliari per insolvenza per mutui o debiti. Quattromila nella sola Roma, secondo una denuncia della Caritas.

Troppa gente senza casa, troppe case senza gente

I dati sarebbero di per sé preoccupanti, ma si mostrano in tutta la loro iniquità se si pensa che, nell’Italia dei costruttori e dell’abusivismo edilizio, centinaia di migliaia di case rimangono inoccupate. Almeno 7 milioni, dice l’ISTAT.

Secondo i dati dell’ultimo censimento, infatti, gli immobili vuoti o quelli in cui non sono presenti residenti (le seconde – ma anche terze e quarte – case) sono cresciuti del 350% in 10 anni. Secondo le stime, quasi una struttura su 4 è inutilizzata.

Non solo. Questo enorme patrimonio immobiliare, in gran parte sprecato, non contribuisce nella misura in cui dovrebbe al gettito fiscale. Secondo il Sole24Ore, infatti, nel caso delle imposte immobiliari (IMU e Irpef sugli affitti con regolare contratto) il “tax gap” tra gettito il previsto e quello effettivo vale 5,83 miliardi all’anno, un buco che supera i 6 miliardi se si somma l’evasione delle “case fantasma” - esistenti nelle realtà ma non presenti sulle mappe catastali - totalmente sconosciute al Fisco.

Secondo la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del 2021, il gap nelle locazioni sarebbe di quasi 700 milioni di euro.

La grande sconfitta dell’edilizia popolare

Il fenomeno degli immobili vuoti non riguarda solo le case private ma anche le case popolari, inutilizzate prevalentemente a causa della mancata manutenzione. Secondo i dati riportati da Il Fatto Quotidiano, sono almeno 50.000 su tutto il territorio nazionale, di cui 13.000 nella sola Milano. Tutto questo mentre ci sono almeno 650.000 persone in graduatoria, in attesa di accedere all’edilizia residenziale pubblica.

A Roma sembra che le case popolari vuote siano alcune centinaia, ma quello che fa davvero impressione è che, secondo i dati dell’Unione Inquilini, da agosto 2021 a febbraio 2022 il Comune ha assegnato solo 37 appartamenti a famiglie in graduatoria. Trentasette in una città in cui ci sono 57.000 nuclei familiari che soffrono di emergenza abitativa, 4.500 esecuzioni di sfratto all’anno (circa 150 al mese) e in cui il rapporto tra alloggi e persone che hanno bisogno di una casa è sconvolgente: 76.000 alloggi popolari per almeno 200.000 persone.

Nel frattempo, sul territorio nazionale la cementificazione avanza al ritmo di due metri quadrati al secondo (14 ettari al giorno secondo i dati risalenti al 2018) e il suolo edificato è raddoppiato in 20 anni.

Caro-affitti, nero, bonus e AirBnb: la tempesta perfetta

A ringraziare sono, come sempre, costruttori e proprietari. A rimetterci chi, per necessità, non ha altra scelta se non accettare le condizioni impietose del mercato immobiliare. Come gli oltre 400.000 studenti fuori sede, molti dei quali costretti ad affittare a carissimo prezzo alloggi molto spesso al limite (o sotto) della decenza nelle città universitarie, spesso senza nessun contratto e nessuna tutela legale.

Non ci sono dati aggiornati al 2022, ma già due diversi studi avevano mostrato l’altissima incidenza delle locazioni in nero tra gli studenti italiani. Secondo un’indagine promossa da Contribuenti.it, nel 2014 ben il 76% degli studenti universitari italiani aveva un contratto a nero o irregolare: il quintuplo rispetto a Germania e Francia. L’anno successivo, un’analisi di Skuola.net aveva registrato come 1 studente su 7 non avesse un regolare contratto ma che la maggior parte di loro non denunciasse il proprietario per paura di perdere l’alloggio.

Una situazione che la combinazione di crisi pandemica, bonus per la ristrutturazione edilizia - misure poco sostenibili che avvantaggiano in maniera sproporzionata i più ricchi - e boom di Airbnb hanno potuto solo peggiorare. Se in passato gli studenti avevano dovuto combattere “solo” con affitti gonfiati e mancanza di contratti, infatti, oggi la situazione è ancora più complessa.

Da un lato, infatti, i proprietari approfittano dei milioni stanziati per i bonus edilizi come Ecobonus o Superbonus 110% per ristrutturare gli appartamenti dati in locazione, riducendo il numero di alloggi disponibili e facendo schizzare alle stelle i costi di quelli ancora sul mercato, o per sistemare la propria casa, ingrossando le fila della domanda di case in affitto.

Dall’altro c’è chi – soprattutto nelle zone centrali delle città turistiche – per massimizzare i profitti preferisce buttarsi sul business degli affitti per turisti attraverso piattaforme come AirBnb. «Più soldi, meno rogne» è il leitmotiv che anima questa operazione, esiziale non solo per il mercato immobiliare ma anche per le città, gravate dall’overtourism di massa e sempre più svuotate di residenti e studenti, costretti a spostarsi in zone più economiche e vivibili. A Milano, almeno 10.000 immobili sono in affitto solo per i turisti tramite AirBnb. A Roma, sono quasi 15.000.

Sharing economy o shadow economy?

All’estero, governi e amministrazioni locali hanno cercato di mettere un tetto agli affitti a breve termine. In Italia, l’emendamento del Pd al decreto Milleproroghe che voleva agire in questa direzione nel gennaio 2020 aveva fatto molto discutere, per poi cadere nel dimenticatoio.

Due anni e una pandemia dopo, la regolamentazione del mercato degli affitti brevi continua a essere un problema quanto mai attuale, con il diritto all’abitare ancora troppo spesso negato e il colosso dell’home sharing che questa estate ha già segnato un +30% di prenotazioni rispetto al periodo pre-Covid.

Tanto più che anche il mercato degli affitti a breve termine non è esente dal nero e, più che un virtuoso circuito di sharing economy, «rimanda l’immagine di un sistema capillare di shadow hospitality», dice il Sole24Ore.

Fino al 2019, Airbnb si era rifiutata di raccogliere le imposte e di trasmettere i dati degli host all’Agenzia delle Entrate per individuare i possibili evasori, ma anche dopo l’introduzione della cedolare secca per gli affitti tramite la piattaforma il sommerso potenziale del mancato versamento delle imposte varrebbe almeno 200 milioni, secondo un dossier di Federalberghi.

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