Ambiente

Marmolada: ennesima prova del riscaldamento globale

Nonostante gli impegni presi nelle conferenze internazionali, il problema del cambiamento climatico continua a ingigantirsi.
Dobbiamo capire che non abbiamo più tempo
Credit: Wolf Schram/Unsplash
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5 luglio 2022 Aggiornato alle 01:00

Lo Special Report dell’IPCC su “Mari e Criosfera in un Clima che Cambia” del 2019, che registrava le chiare evidenze della fusione dei ghiacciai, lanciava un forte monito sui rischi connessi alla fragilità di questo comparto.

Il drammatico bilancio di vittime legato al distacco del seracco sul ghiacciaio della Marmolada rappresenta solo l’ultimo messaggio di un riscaldamento globale che, malgrado gli impegni presi alle varie conferenze sul clima, continua inesorabilmente ad aumentare.

Entro metà secolo tutti i ghiacciai alpini sotto i 3 mila metri fonderanno o saranno ridotti ai minimi termini. Quando nel 1864, la Marmolada fu scalata per la prima volta, c’erano in atmosfera 284 ppm, parti per milione di CO2. Oggi questo valore è aumentato del 47%.

Considerando che l’incremento annuo a livello mondiale è di 2-2,5 ppm, la soglia critica per l’emergenza climatica di 450 ppm, che comporterebbe un aumento di temperatura di 2 °C, sarà raggiunto già nel prossimo decennio. A meno che non si inneschino politiche radicali.

Ma, se il fenomeno della contrazione dei ghiacciai e dei sistemi nevosi era evidente a tutti, le risposte sono state finora totalmente inadeguate. E non parliamo dei tentativi che vanno diffondendosi di preservare il manto nevoso attraverso speciali teli geotessili, ma dell’incapacità di avviare una seria politica di decarbonizzazione delle economie.

Per invertire la rotta servono obiettivi ambiziosi, e sono pochi i paesi che stanno adottando politiche coerenti con questi impegni.

Prendiamo il raggiungimento della neutralità climatica al 2050, fra 28 anni, che implica una drastica rivisitazione dei processi produttivi, oltre a una mobilità e una climatizzazione degli edifici a emissioni nette zero. Parliamo di un obiettivo che decine di paesi, Ue compresa, si sono dati.

Fortunatamente è in atto un salto tecnologico, pensiamo alle sempre più competitive rinnovabili o alle auto elettriche con costi decrescenti, che rende questa radicale transizione non un sogno ma un obiettivo praticabile.

Ma non illudiamoci. L’ampiezza della sfida impone anche un ripensamento del modello economico e un mutamento degli stili di vita.

Il fatto che l’umanità per la prima volta nella sua storia si trovi di fronte a un limite, a un muro virtuale, i miliardi di tonnellate di gas climalteranti che potranno ancora essere emessi, può rappresentare una potente spinta a mutare le logiche che governano l’economia. E contemporaneamente indurre a modelli comportamentali più virtuosi.

Del resto, di fronte alla siccità si programmano investimenti per razionalizzare il sistema idrico, vengono adottati limiti nell’uso dell’acqua, i cittadini diventano più attenti. La trasformazione connessa alla decarbonizzazione dell’intero sistema economico rappresenta chiaramente un livello di impegno e uno sforzo di innovazione decisamente più elevato.

E devono essere superate le timidezze della politica, pensiamo agli ondeggiamenti dei ministri Cingolani e Giorgetti rispetto all’obiettivo europeo della cessazione delle vendite di auto a combustione interna dal 2035.

O alle incredibili lentezze delle autorizzazioni per le rinnovabili. Bisogna capire che non c’è più tempo!

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