Futuro

Le insicurezze di Uber

Il secondo rapporto dell’azienda sulla qualità del servizio di trasporto automobilistico privato mostra che le aggressioni sessuali a bordo sono in calo. Parallelamente, però, crescono i morti per incidenti
Credit: Raban Haaijk/Unsplash
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
6 luglio 2022 Aggiornato alle 17:00

Quando Uber nacque nel 2009 a San Francisco, assicurò che avrebbe fornito “un passaggio sicuro verso casa”. Quel servizio di trasporto automobilistico privato nato dall’intuizione dagli imprenditori Garrett Camp e Travis Kalanick, però, infranse la promessa: nel 2018 un’indagine dell’emittente televisiva americana Cnn svelò il lato oscuro di Uber, denunciando che almeno 103 conducenti erano stati accusati di aver aggredito sessualmente o abusato dei loro passeggeri (le vittime erano principalmente donne).

All’epoca non esistevano dati pubblicamente disponibili riguardo al numero di violenze perpetrate dai loro conducenti, o di qualsiasi altra società di ridehailing come Uber o di ridesharing, come per esempio BlaBlaCar in Italia, in cui vettura e guidatore condividono il percorso con altri passeggeri.

L’analisi della Cnn, infatti, derivava da una profonda analisi di rapporti della polizia, registri dei tribunali federali e vari database in 20 città degli Stati Uniti. Nel 2018 Uber era attiva in 630 città in tutto il mondo e valeva 70 miliardi di dollari, fornendo 15 milioni di corse al mondo.

Da quel momento in avanti, l’azienda decise di aumentare i controlli, di spiegare a conducenti e clienti “come creare una comunità più sicura” e realizzare un proprio report annuale relativo alla sicurezza del servizio negli Stati Uniti: il primo uscì a dicembre del 2019, si riferiva alle segnalazioni registrate nel 2017 e nel 2018. Il secondo è stato pubblicato il 30 giugno 2022.

“Descrive in dettaglio le nostre politiche e i processi relativi alla sicurezza, nonché i dati sugli incidenti di sicurezza più gravi segnalati sulla nostra piattaforma”, scrive Uber. Il report mostra che “la stragrande maggioranza dei viaggi su Uber, oltre il 99,9%, viene completata senza alcun episodio simile”.

Il periodo preso in esame, però, è quello 2019/2020, che riflette gli effetti del Covid-19 e dunque una diminuzione delle corse “fino all’80% poiché le persone hanno limitato i loro viaggi a quelli essenziali”: da 1,4 miliardi nel 2019 a 650 milioni nel 2020.

In questo clima di stop, le segnalazioni ricevute da Uber sono state 3.824 (-38% rispetto al precedente rapporto) nelle cinque categorie più gravi di aggressione sessuale, dal “bacio consensuale di una parte del corpo non sessuale” alla “penetrazione sessuale non consensuale”, lo stupro. Le denunce di stupro nel 2019 erano state 247, nel 2020 sono scese a 141.

Il report fa una distinzione generica tra conducenti e passeggeri, con questi ultimi che sono stati vittime nel 61% dei casi (contro il 39% degli autisti aggrediti) e accusati di aggressione nel 43% (contro il 56%). La maggior parte delle segnalazioni riguarda il “tocco non consensuale di una parte del corpo sessuale”.

Uber ha specificato che circa il 91% delle vittime di stupro erano passeggeri e il 7% erano conducenti. Le donne costituivano l’81% delle persone aggredite e stuprate, mentre gli uomini circa il 15% (quasi il doppio rispetto al primo rapporto).

I decessi per aggressioni fisiche sono aumentati di un’unità, con 20 persone uccise, di cui 15 passeggeri: Uber ha specificato che l’aumento è “simile alle statistiche nazionali sugli omicidi e sulle aggressioni aggravate a partire dal 2020 durante la pandemia”. E 19 conducenti sono morti nel 2019 e nel 2020: 14 per incidenti e cinque per aggressioni.

Gli incidenti stradali mortali sono stati 101, sei in meno del rapporto precedente, e “circa “la metà della media nazionale” del tasso di mortalità dei veicoli a motore. Ma, come spiega il New York Times, i dati riguardano solo le corse in auto, e non tengono conto né degli infortuni né delle consegne del servizio Uber Eats. Si tratta della piattaforma di consegna a domicilio rilasciata da Uber nel 2014 e che, nel 2020, ha fatto ricavare all’azienda 4,8 miliardi di dollari.

Nel corso degli anni Uber ha implementato una serie di misure di sicurezza, come i continui controlli attraverso app di monitoraggio che danno informazioni su arresti, precedenti e reati riconducibili agli autisti di Uber: nel report di quest’anno si afferma che questa funzione ha fatto rimuovere circa 80.000 driver dalla piattaforma fino a oggi.

Tutto è iniziato in seguito all’indagine della Cnn: da qui anche una partnership con RapidSOS, una società che invia la posizione di un passeggero a un’agenzia di polizia locale una volta premuto il pulsante di emergenza nell’app Uber. L’azienda ha anche ricevuto una multa di 59 milioni di dollari (poi ridotti a 9 milioni) da parte di un ufficio regolatore della California per non aver fornito dati aggiuntivi su aggressioni sessuali e molestie.

A marzo del 2021 Uber e Lyft, un’altra impresa di trasporti statunitense privata, avevano annunciato che avrebbero condiviso i nomi dei conducenti disattivati per gli episodi più gravi, come le aggressioni sessuali, ma l’ultimo rapporto non fornisce alcun aggiornamento a riguardo.

E tra i requisiti minimi delle persone che possono guidare con Uber, che variano di Paese in Paese, negli Stati Uniti è necessario “soddisfare il requisito di età minima ed essere legalmente autorizzato a guidare nel tuo Paese”. E superare lo screening test sulla “storia criminale” di ogni conducente.

Ma servirà l’ennesima inchiesta giornalistica per puntare i riflettori su violenze e violentatori?

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