Diritti

Tesla veicola razzismo?

La casa automobilistica di Elon Musk sta affrontando una decina di cause legali per presunta discriminazione razziale e molestie sessuali. I dipendenti lamentano un clima e un ambiente lavorativo tossico e di abusi
Credit: ZUMA Press Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
5 luglio 2022 Aggiornato alle 15:00

Non è un bel periodo per Tesla. Ma lo è ancora meno per i suoi dipendenti. Quindici ex o attuali lavoratori afroamericani hanno intentato una causa contro la casa automobilistica elettrica, sostenendo di aver subito abusi a sfondo razziale e molestie nelle sue fabbriche.

Lo riporta l’agenzia di stampa britannica Reuters, specificando che le molestie si sarebbero verificate principalmente nello stabilimento di Fremont, in California, l’azienda multinazionale statunitense specializzata nella produzione di auto elettriche e fondata nel 2003 da Elon Musk e J.B. Straubel.

Secondo la causa intentata in un tribunale statale del Paese, “i commenti includevano l’uso della n-world e termini come “schiavitù” o “piantagione”, associati a una sezione dell’impianto ad alta densità di manodopera. Le “procedure operative standard della casa automobilistica includono una discriminazione razziale palese, aperta e assoluta”, riporta la causa.

I 15 lavoratori hanno dichiarato di essere stati sottoposti regolarmente a commenti simili e a comportamenti razzisti offensivi da parte di colleghi, dirigenti e dipendenti delle risorse umane. Alcuni, poi, sarebbero stati assegnati ai posti più fisicamente impegnativi dell’azienda o non avrebbero ricevuto promozioni di alcun tipo.

La causa fa anche riferimento a Montieco Justice, addetto alla produzione nello stabilimento californiano, che sarebbe stato retrocesso al suo rientro nell’azienda dopo aver preso un congedo autorizzato a seguito del Covid-19.

Contattata da Reuters, Tesla non avrebbe commentato la vicenda. Non si tratta del primo episodio simile in casa Musk: la sua azienda automobilistica sta affrontando almeno 10 cause legali per presunta discriminazione razziale o molestie sessuali, nonostante abbia negato ogni illecito e dichiarato di avere messo in atto politiche per prevenire e affrontare la cattiva condotta sul posto di lavoro.

Secondo il sito di informazione Vox, a febbraio lo stato della California aveva citato in giudizio la fabbrica di Fremont per accuse di razzismo: la causa coinvolgeva 4.000 dipendenti afroamericani che affermavano che gli operai neri fossero stati segregati in parti separate della struttura. Un lavoratore nero ha detto di aver sentito insulti razzisti dalle 50 alle 100 volte al giorno.

A ottobre, un giudice federale della California aveva condannato Tesla a pagare 137 milioni di dollari all’ex dipendente afroamericano Owen Diaz per discriminazione razziale. Secondo l’agenzia di stampa internazionale Bloomberg, “Diaz ha vinto quello che si ritiene essere uno dei più grandi verdetti nella storia degli Stati Uniti per un singolo querelante in un caso di discriminazione razziale, dopo un processo di sette giorni a San Francisco”.

Ma ad aprile un giudice distrettuale degli Stati Uniti aveva accolto il ricorso di Tesla, dichiarando che si trattava di una somma eccessiva e riducendola a 15 milioni di dollari. Diaz e i suoi avvocati hanno respinto la cifra, ritenendo che minasse i suoi diritti costituzionali e fosse troppo ingiusta: una mossa rischiosa, anche economicamente parlando. Ma il risultato più probabile è che il risarcimento starà nel mezzo alle due cifre proposte. La data per il nuovo processo non è ancora stata fissata.

Non è finita: all’inizio di giugno un azionista di Tesla ha intentato una causa accusando il suo Ceo Elon Musk e il consiglio di amministrazione per aver trascurato i reclami dei lavoratori e per aver promosso una cultura tossica sul posto di lavoro, in una sede in Texas. Che cosa dirà, questa volta, il nuovo proprietario di Twitter? Difenderà anche in questo caso la libertà di parola?

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