Diritti

Perché FB e IG censurano i post sulle pillole abortive

La domanda di farmaci per l’aborto chimico è in crescita dopo che la Corte suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la sentenza Roe vs. Wade. Ma Meta sostiene che il loro commercio online è contrario alla policy dei social network
Credit: Nilufar Nattaq
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
1 luglio 2022 Aggiornato alle 21:00

In seguito al ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade da parte della Corte suprema degli Stati Uniti, che il 24 giugno ha abolito il diritto all’interruzione di gravidanza rimettendone la legislazione ai singoli Stati, è cresciuta la richiesta di pillole contraccettive e abortive nel timore che le misure possano inasprirsi in modo ulteriore.

Sui social diverse persone hanno iniziato a pubblicare post in merito all’invio dei farmaci, ma lo stesso giorno della sentenza Facebook e Instagram hanno iniziato a rimuovere i contenuti. A riferirlo è stata per prima la rivista Vice.

Quando un suo giornalista ha scritto su Facebook «le pillole abortive possono essere inviate», la testata riferisce che «il post è stato segnalato in pochi secondi come in violazione degli standard della community del sito, in particolare le regole contro l’acquisto, la vendita o lo scambio di farmaci».

Inoltre, riferisce ancora Vice, «al giornalista è stata data la possibilità di “essere d’accordo” o “non essere d’accordo” con la decisione. Dopo aver espresso di “non essere d’accordo”, il post è stato rimosso». In seguito è stato reintegrato, ma un secondo post dal contenuto simile ha subito la stessa sorte prima che il giornalista venisse sospeso per 24 ore dalla piattaforma.

Un’esperienza analoga è stata riportata da Associated Press. «Se mi mandi il tuo indirizzo, ti spedirò le pillole abortive», ha scritto un giornalista dell’agenzia. Il post è stato rimosso entro un minuto, ma quando lo stesso contenuto è stato ripubblicato sostituendo a “pillole abortive” le parole “pistola” o “erba”, il contenuto è stato considerato legittimo.

Sulla questione è intervenuto il portavoce di Meta Andy Stone, che in un tweet pubblicato il 27 giugno ha dichiarato: «I contenuti in cui si tenta di acquistare, vendere, scambiare, regalare, richiedere o donare prodotti farmaceutici non sono consentiti. Sono consentiti contenuti che discutono dell’accessibilità e della convenienza dei farmaci soggetti a prescrizione». Stone ha poi aggiunto: «Abbiamo scoperto alcuni casi di applicazione errata e li stiamo correggendo».

Secondo un recente rapporto del Guttmacher Institute, un gruppo di ricerca che sostiene il diritto all’aborto, a partire dal 2020 oltre il 50% degli aborti negli Stati Uniti avviene per via chimica.

La nuova sentenza della Corte suprema non disciplina l’aborto farmacologico, che resta legale in tutto il territorio degli Usa, ma 19 Stati avevano già proibito l’uso della telemedicina per prescrivere i farmaci da remoto richiedendo la presenza del medico quando vengono somministrati.

Il procuratore generale degli Stati Uniti Merrick Garland ha dichiarato che gli Stati «non possono vietare il mifepristone», il farmaco più utilizzato per l’aborto chimico insieme al misoprostolo. Nel 2021 la Food and Drug Administration ha revocato una restrizione che imponeva di ottenere i farmaci di persona da operatori sanitari certificati.

Ma, secondo il Washington Post, Stati come Arizona, Arkansas e Texas hanno già cercato di impedire la spedizione via posta delle pillole abortive.

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