Ambiente

Il non sense della destra anti-ambientalista

Una fetta importante dei “nemici dell’ecologismo” è molto schierata. Vittima di un’opposizione artificiale, alimentata dalla partigianeria dei media acchiappa clic, che la spinge a negare anche le proprie posizioni
Credit: ANSA/CESARE ABBATE
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1 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

La polarizzazione politica e mediatica degli ultimi anni – dopo i dualismi populisti/europeisti vax/novax, zelenskiani/putinisti – sta vedendo consolidare una nuova dicotomia: ecologisti/realisti industriali.

Se la pancia vomita violenza su figure come Greta Thunberg e i Fridays for Future, vegani e animalisti, la testa attacca il mondo delle rinnovabili, dell’economia circolare della mobilità elettrica. Ecoimperialisti, pauperisti, ecologisti del no, Verdi da 2%, cocomeri (riferito al côté di sinistra di molti ecologisti, “verdi fuori, rossi dentro”).

Non mancano gli insulti e le caratterizzazioni verso chi, spesso seriamente, si occupa di questioni ambientali che impattano salute dei cittadini, la sicurezza nazionale, lo sviluppo economico del paese. Così va nel tritatutto dell’informazione virale e da social.

C’è però un’osservazione sostanziale da fare. Una fetta importante dei “nemici dell’ecologismo” è schierata decisamente a destra, sia nelle file di partiti come FdI che della Lega, sia come outsider della galassia nazionalista, conservatrice, cattolica reazionaria.

Al netto della rabbia sociale e del divertissement da social che attacca ad alzo zero, sorprende come base e classe dirigente della destra cada vittima di un’opposizione artificiale, ben alimentata dalla partigianeria dei media acchiappa clic che farebbe di tutto per un like in più, costretta in qualche caso dalla camera dell’eco dei social ad aderire a posizione estremiste sull’ambiente, anche quando in aperta negazione delle proprie posizioni.

Facendo cosi si sostanzia il contrasto degli estremi, che vuole definire chiaramente i campi allontanando non solo dal centro politico ma anche dal buonsenso e dalla complessità della realtà che tutto è tranne che manichea e dualista.

Sui social abbondano profili fake e di troll che aizzano conservatori, nazionalisti, seguaci della destra industrialista e nazional popolare contro chi preme per la transizione ecologica, considerata l’ennesimo elemento di degrado di un’identità italiana e di un paese ideale che non è mai davvero esistito.

Riapriamo le centrali a carbone”, “l’auto elettrica distruggerà migliaia di posti di lavoro”, “la dittatura dell’ideologia vegan”, “ci vogliono poveri e senza luce”. Ecco alcune delle frasi che si ripetono e ribalzano dal Facebook dei boomer fino ai tiktoker dei tween. L’importante è dividere et imperare, senza capire il danno di questa divisione sui temi chiave di crisi climatica e della biodiversità.

Tralasciando la scottante questione della rinascita nucleare in Italia, sorprende come nazionalisti e conservatori non colgano come alcune delle questioni chiave “ambientaliste”, dalla tutela della biodiversità all’indipendenza energetica garantita da fonti rinnovabili, siano politicamente e filosoficamente allineate ai propri valori.

Partiamo da chi si disfinisce conservatore o cattolico conservatore.

Fin dalla Rivoluzione industriale, sono stati numerosi i pensatori che individuano i pericoli generati dal sovrasfruttamento del Creato. Per il mondo cattolico ogni qualvolta l’uomo cerca di superare i limiti imposti da Dio, viola un principio sacro dell’alleanza.

La distruzione della natura diventa peccato, come spiega chiaramente la Laudato Sì di Papa Francesco, che deve essere confessato e richiede conversione e gesti riparatori.

Imprescindibile è la questione della conservazione dell’oikos, della comunità, sempre locale, delimitata, prossima (la parola greca è la radice sia della parola ecologia che economia), come racconta il pensatore di destra Francesco Giubilei. Dunque tutela della biodiversità, ma anche importanza della mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento, economia circolare sono strategie da praticare con cura nel proprio milieu.

Nel mondo della destra popolare, che ha come serbatoio quello che un tempo era il regno della sinistra – il mondo operario, delle piccole partite IVA, dei lavori stagionali – le due questioni centrali legate alla transizione ecologica sono l’occupazione e il sovranismo.

Sulla prima effettivamente serve spingere sia sulla creazione di nuova occupazione nella green e circular economy, sia tutelare e governare la transizione occupazionale di quei settori condannati a estinzione parziale (oil&gas, motori, ecc). Questo, al momento, allontana inevitabilmente cittadine e cittadini che vedono un rischio per il proprio futuro occupazionale (a causa di supposte o reali green elite, arroccate nelle grandi città).

In questo, però, c’è la responsabilità soprattutto della Lega guidata da Salvini, che nei motori industriali del Nord ha abbandonato imprese e lavoratori con un’opposizione miope e populista, che avrebbe invece potuto lavorare per governare la transizione ecologica inevitabile e non impoverire e rendere più insicuri i territori della sua storica base.

Lascia invece esterrefatti l’astio dei sovranisti sul tema energetico. Nonostante la produzione da fonti rinnovabili, decentrata e diffusa sui territori, si possa definire una strategia nazionalista e di sovranità energetica per antonomasia, numerose testate di destra, da La Verità a Il Giornale attaccano in continuazione sul tema del cambiamento climatico, dell’elettrificazione, delle rinnovabili e della decarbonizzazione dei trasporti, fino all’aperto negazionismo.

Credo serva ricordare agli elettori di Giorgia Meloni che fu il loro capostipite a ipotizzare l’autarchia energetica dell’Italia anche attraverso l’energia eolica, allora, negli anni Quaranta, immatura. Non si può essere sovranisti solo su alcune questioni (per altro quelle errate, se parliamo di Ius Scholae, dato che va incontro anche a istanze specifiche dei conservatori) e tralasciare altre, centrali (per chi vuole “prima l’Italia e gli italiani”).

Andando bene a cercare c’è molta riflessione ambientalista ed ecologista anche a destra, solo che largamente inascoltata. Le sfide immani di oggi richiedono uno sforzo unitario e congiunto, basato sulla scienza e su un dialogo franco ma aperto tra le parti.

La crisi climatica globale ucciderà nonostante il credo politico, avrà impatti economici diffusi indipendentemente dal voto, indebolirà il tessuto sociale del nostro Paese, soprattutto nei piccoli centri e nelle zone più vulnerabili.

L’opposizione urlata e intransigente della destra è altrettanto (e anche di più) dannosa dell’ecologismo anni Settanta, ideologico e antiscientifico. Serve discutere e riflettere. Urlare e berciare non-sense anti-ambientalista può racimolare voti, ma non salvare l’Italia, la sua economia, il suo popolo.

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