Futuro

La politica della violenza online

Il numero di post che vengono eliminati dalle piattaforme ogni giorno è impressionante. Gli errori sono possibili. Come migliorare il processo? Un cambio di paradigma normativo è alle porte
Credit: Vadim Bogulov/Unsplash
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30 giugno 2022 Aggiornato alle 06:30

Le piattaforme per la condivisione delle informazioni sono diventate parte del terreno di scontro tra sfere di influenza nella geopolitica globale. I resoconti giornalistici in materia possono offrire soltanto una piccola impressione della gigantesca dimensione della questione.

Come riporta Jeremy West, dell’Ocse, solo nel 2020, il sistema per la moderazione dei contenuti di Facebook ha preso in considerazione ed eliminato 15 milioni di messaggi contrassegnati come terroristici, circa 80.000 al giorno.

Non sappiamo che cosa effettivamente si è perduto di quei messaggi, quanto fosse grave il loro contenuto, se le decisioni di Facebook, Meta, siano state corrette. Di certo sappiamo che i sistemi di moderazione della piattaforma di Mark Zuckerberg sono meno che perfetti: è istruttiva, per esempio, la controversia sulla pubblicazione della foto di Nick Ut, intitolata The Terror of War.

La foto, famosissima, ritrae una bambina vietnamita che scappa dal napalm americano durante la guerra del Vietnam. La foto, premio Pulitzer, ha cambiato la consapevolezza degli americani sulla brutalità della loro guerra in Vietnam. Ma poiché la bambina si è tolta i vestiti che bruciavano e cammina nuda piangendo, i moderatori della piattaforma Facebook hanno deciso di rimuoverla. Ci sono voluti incredibili sforzi per farla ripristinare.

La quantità di interventi dei moderatori di Facebook è tale che non si può escludere che errori di questo tipo continuino a essere commessi. E d’altra parte, anche escludendo gli errori, le controversie sulle decisioni delle piattaforme possono essere motivate anche dalla profonda ambiguità di certi post.

Ci sono situazioni politicamente divisive che non si risolvono facilmente. Raccontano al Center for the Study of Democracy di Sofia, in Bulgaria, che il loro compito di contrasto alla propaganda russa durante la guerra in Ucraina diventa sempre più complicato.

Alcuni post propagandistici, ormai, non hanno quasi più nessun apparente legame con la politica. Ci sono post che semplicemente generano reazioni divisive nel pubblico occidentale, relativi ad argomenti che generano reazioni forti e polemiche profonde, per i quali si riescono a rintracciare le origini russe.

Ai russi, secondo questa interpretazione, basta dunque dividere il pubblico europeo e occidentale, non serve necessariamente ottenere una qualche forma di consenso con le loro convinzioni. Tutto questo mostra come sia insufficiente un sistema che affida completamente alle piattaforme private il problema di gestire tutto questo.

L’odio, la disinformazione, la propaganda di guerra, il terrorismo, sono tutti argomenti che fanno parte della stessa dinamica: strumentalizzare il pubblico, renderlo più debole e diviso, impaurirlo, generare sfiducia nei politici, sono tutte tattiche anti-occidentali che passano anche attraverso i social media, che fanno leva sulle reali contraddizioni della società occidentale, che finiscono col fare il gioco delle autocrazie e delle potenze politiche contrarie all’integrazione europea e alla pace.

La policy europea ha deciso di passare dal paradigma dell’autoregolamentazione a quello della coregolamentazione. In pratica, la relazione delle autorità con le piattaforme non sarà più fondata sulla definizione delle regole e l’affidamento della loro implementazione ai privati. Nel futuro, le piattaforme e le autorità lavoreranno insieme per raggiungere gli obiettivi comuni. Anche così non sarà facile.

Ma almeno il dibattito pubblico sulle scelte relative alla libertà di espressione, alla sicurezza dei cittadini, alla coesione della società, cesserà di essere confinato negli uffici dei gestori delle piattaforme.

La trasparenza e la documentazione delle decisioni che vengono prese quando si rimuovono dei contenuti, la misurazione dei fenomeni, l’accesso ai dati generati sulle piattaforme per gli studiosi, sono importanti passaggi sulla strada di una migliore qualità dell’informazione sulle piattaforme.

La chiarezza nei criteri di giudizio su ciò che è legale pubblicare, su ciò che è inopportuno, su ciò che benché brutale va ammesso, sarà difficilissima da raggiungere. Ma di certo non potrà essere ottenuta senza un dibattito pubblico consapevole e aperto.

La collaborazione di tutti gli stakeholder per il bene comune è il solo approccio che valga la pena di essere perseguito: almeno se si vuole affermare con forza un sistema di valori alternativo alla brutalità dei regimi autoritari.

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