Ambiente

Amazon non è trasparente, ma la sua plastica sì

La produzione di rifiuti plastici di Amazon è aumentata di quasi un terzo nel 2020. Lo ha reso noto la più grande organizzazione internazionale no profit dedicata esclusivamente alla conservazione e alla difesa degli oceani: Oceana.
di Redazione
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1 gennaio 2022 Aggiornato alle 12:00

La produzione di rifiuti plastici di Amazon è aumentata di quasi un terzo nel 2020. Lo ha reso noto la più grande organizzazione internazionale no profit dedicata esclusivamente alla conservazione e alla difesa degli oceani Oceana.

Secondo lo studio, pubblicato a dicembre, la multinazionale di Jeff Bezos avrebbe generato più di 271 milioni di tonnellate di imballaggi di plastica durante la pandemia da Covid-19. Sembra che, tra queste, quasi 11 mila tonnellate rischino di finire direttamente in mare: e così pluriball (gli imballaggi ammortizzanti con le famose bolle da schiacciare), mucchi di carta foderata di plastica e cuscini d’aria trasparenti potrebbero galleggiare nelle nostre acque per un tempo indeterminato. “Come se, ogni ora, un furgone depositasse il suo intero contenuto direttamente in mare”, chiosa Oceana. Amazon si è difesa respingendo le accuse: i rifiuti generati, secondo il gruppo statunitense, sarebbero stati sopravvalutati del 300%. Ma non ha fornito cifre alternative.

Il colosso statunitense ha aumentato le proprie vendite nel 2020 del 38%, in un periodo in cui gran parte del mondo era in lockdown e riversava i propri guadagni negli acquisti online: situazione che ha portato a generare ricavi per 386,1 miliardi di dollari. Di recente la piattaforma ha promosso due iniziative per rendere più green le proprie vendite: la “Liquidazione”, che offre ai partner di vendita la possibilità di avere comunque un ritorno dai prodotti resi e in eccesso (prima avrebbero dovuto farsi rispedire la merce, ora invece c’è un canale automatizzato per recuperare valore coinvolgendo i liquidatori all’ingrosso); l’opzione “Valutazione e rivendita”, per i partner di vendita che vogliono smerciare come “usati” gli articoli restituiti su Amazon, decidendone il prezzo in base alle condizioni.

Secondo Oceana, però, “gli sforzi indirizzati verso le pratiche riciclabili dell’azienda non ridurranno significativamente il suo enorme (e crescente) ‘footprint’ di plastica”. Il gruppo si è detto disponibile a un confronto. Tuttavia, “Se Amazon fosse trasparente, useremmo volentieri i suoi dati” ha dichiarato Matt Littlejohn, vicepresidente senior di Oceana. “Usa meno imballaggi in plastica rispetto al passato, ma vende anche molti prodotti in più”.

Di tutti i rifiuti plastici prodotti dalla piattaforma, solo il 9% sarebbe stato effettivamente riciclato: complici, in particolare, la pellicola composita utilizzata - che finisce in discarica - e le norme di riciclaggio dei singoli Stati. Per ora gli imballaggi in plastica monouso sono stati abbandonati dall’azienda solo in India e, prossimamente, in Germania: “Se li ha esclusi in questi due Stati”, ha detto Littlejohn, “può farlo anche su base mondiale”.

Ma come potremmo dare il buon esempio ad Amazon per utilizzare packaging sostenibili? In vista dei regali di Natale, ci sono alcune opzioni sostenibili da considerare. Per prima cosa, i tessuti riutilizzabili: In Giappone, a esempio, c’è una tradizione chiamata furoshiki che prevede l’utilizzo di stoffe di scarto per avvolgere le bento (le nostre lunch box), i vestiti e i doni di ogni genere, decorando il tutto con fiori secchi e rametti di abete o vischio. ​​Poi esistono delle fibre naturali biodegradabili - le bioplastiche - che possono essere compostate. Oppure ancora la cera d’api, spesso utilizzata per avvolgere cibi sfusi da conservare in teli in cotone biologico. Infine il vetro: non consigliabile per le spedizioni, certo, ma per le consegne a mano sì, così come i cofanetti di alluminio e metallo. Anche il packaging sostenibile può essere un regalo: per noi, ma anche per il nostro pianeta.

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