Culture

Diana Tejera: «Ti racconto la mia amicizia con Patrizia Cavalli»

Grazie alle parole della cantante italo-spagnola, raccolte da La Svolta, abbiamo aperto una piccola finestra sul mondo interiore di Patrizia Cavalli. E sulla loro grande amicizia, durata più di 10 anni
Diana Tejera, dal video di Aùn
Diana Tejera, dal video di Aùn
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
26 giugno 2022 Aggiornato alle 08:00

Se dovesse descrivere Patrizia Cavalli in una manciata di aggettivi, sceglierebbe «dirompente, geniale, prepotente, ma anche estremamente generosa». Diana Tejera, cantante, polistrumentista e producer, ha l’Andalusia nelle vene ma è cresciuta nel quartiere romano di Trastevere, a pochi passi, avrebbe poi scoperto, dalla residenza della poeta scomparsa il 21 giugno.

«Non si può contenere una personalità come la sua in poche parole. Era una donna piena di contraddizioni, ma autentica: quel che vedevi era lei, completamente. Non c’erano schermi o filtri di sorta».

Mi colpisce la scelta dell’aggettivo “prepotente”… Cosa intendi?

Patrizia era una personalità eccentrica, esagerata, persino ingombrante alle volte, spesso incline all’ira. Se non le rispondevi al telefono era capace di scriverti un messaggio in cui minacciava di toglierti il saluto. Ma erano furori passeggeri.

Avete mai litigato?

È capitato, ma sapeva sempre come ricucire gli strappi. In generale, odiava quando qualcuno scherzava sul fatto che sembrassimo madre e figlia. “È colpa tua, che ti vesti sempre da bambinetta” mi rimproverava. Poi, una volta, mi lasciai sfuggire in confidenza con un’amica che effettivamente Patrizia era quasi una madre per me. Quando lo venne a sapere, montò su tutte le furie.

Mi arrivò solo un messaggio, glaciale: “Come una madre”. Cercai di chiamarla per spiegarle le mie ragioni, senza ricevere mai risposta o essere richiamata. Così a un certo punto, mi arrabbiai a mia volta, per quella che mi pareva una reazione eccessiva. Dopo circa due settimane, finalmente mi chiamò: io, offesa, non le risposi. Richiamò, una, due, tre, quattro volte. Io, stoica, continuai a non rispondere. Alla fine mi inviò un messaggio: “Dove sei? Tua madre è in ansia”.

Come vi siete conosciute?

Era cominciato tutto davanti al pianoforte. Ancora prima di conoscerla, ero una sua grande ammiratrice e una volta, mi ero lasciata ispirare e avevo messo in musica una sua poesia. Ero talmente entusiasta e soddisfatta del risultato che, dopo qualche esitazione, avevo contattato la casa editrice Einaudi la quale, però, mi aveva lasciato l’email di Patrizia, chiedendomi di discuterne direttamente con l’autrice.

Si fece attendere un paio di settimane, ma alla fine mi rispose: ero emozionatissima. Avrei scoperto in futuro, che uno dei motivi per cui lo fece fu il mio cognome: lo aveva trovato simpatico e ci rimase male quando scoprì che invece è spagnolo e si legge con la J aspirata. - Ride sommessamente, - Venni a sapere solo dopo che per una sua vicenda personale non aveva molta simpatia per la Spagna.

Mi propose di vederci a casa sua per parlare del brano che avevo composto. Al telefono, poco prima dell’appuntamento, mi disse che aveva sonno e io, suonando al campanello, mi presentai con degli infusi di tè allo zenzero. Nacque così la nostra amicizia, durata oltre 10 anni: con del tè allo zenzero.

E la canzone?

Non le piacque granché, almeno credo, ma si instaurò subito una grande sintonia fra di noi. Iniziammo a frequentarci, mi presentò i suoi amici. Diceva sempre “I poeti sono così noiosi” e si divertiva invece a uscire con me e gli amici registi, attore e musicisti. Quando era di buonumore, mi chiamava “cocca”.

Come è nata l’idea del progetto musicale insieme?

Un giorno le proposi di musicare delle poesie. Era un’esperta pianista, ma non era abituata a scrivere testi in musica. Fu un esperimento curioso vederla ingabbiata nelle rigide regole della metrica, lei che si era sempre sentita così libera nello scrivere in versi sciolti. A volte partivamo dalle sue parole, altre dalla melodia e in questo caso era lei a dover adattare il testo alle note. Quando non riusciva, la bellezza e la forza dei suoi componimenti erano tali che finivo per piegare il motivo musicale alle esigenze del testo.

Così nel 2012 è uscito Al cuore fa bene far le scale, un libro e un CD con 11 poesie (e varie conversazioni tra amiche), frutto delle parole inedite di Patrizia scritte per la mia musica e le mie musiche originali composte per alcune sue poesie già edite. Andavamo in locali e circoli letterari a suonare e a cantare, fu un bel periodo.

La sua consacrazione letteraria è avvenuta con Elsa Morante che dopo aver letto le sue poesie, la chiamò al telefono per dirle la celebre frase: “Sono contenta, Patrizia. Sei un poeta”. Ti ha mai parlato del suo rapporto con lei?

Certo, aveva un rapporto d’elezione con lei. È stata Elsa Morante a scoprire il suo talento letterario: Patrizia provava un grande affetto e una profonda devozione per lei, ma la considerava un giudice implacabile.

Cos’era per Patrizia Cavalli la poesia?

Bella domanda. Diceva sempre che era l’unica cosa che sapeva fare: scrivere poesie, intendo. Era il suo modo di stare al mondo. Trovava l’ispirazione soprattutto durante le passeggiate all’aria aperta o camminando avanti e indietro per casa, ma sapeva che non avrebbe scritto mai qualcosa di diverso, come per esempio un romanzo. Non aveva la pazienza di dedicarsi a un progetto così lungo.

C’è una sua poesia a cui sei particolarmente legata?

È difficile scegliere, ma forse ce n’è una che nella sua semplicità, ha sempre avuto un significato importante per me.

È tutto così semplice, / sì, era così semplice, / è tale l’evidenza / che quasi non ci credo. / A questo serve il corpo: / mi tocchi o non mi tocchi, / mi abbracci o mi allontani. / Il resto è per i pazzi.

Leggi anche
Autrici
di Manuela Sicuro 4 min lettura
Exposure 125, Brooklyn, Industria Studios
Appuntamenti
di Redazione 1 min lettura