Ambiente

Così il populismo politico e giudiziario hanno ridotto Roma a una discarica

Con l’incendio di Malagrotta, la situazione rifiuti nella Capitale ha fatto un passo indietro e, al momento, la stessa fuoriuscita dall’emergenza sembra essere una impresa titanica. Come si è arrivati a questo punto?
L'incendio di Malagrotta
L'incendio di Malagrotta Credit: baraondanews.it
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29 giugno 2022 Aggiornato alle 06:30

Dopo l’incendio del grande Tmb di Malagrotta (che ha fatto seguito ai reiterati incidenti agli impianti dell’Ama), Roma in fatto di rifiuti è tecnicamente tornata ai primi anni ‘90: gli impianti di trattamento superstiti lavorano poco e male, i termocombustori attivi o previsti sono stati bloccati e in più non c’è neanche una discarica di servizio (senza cui gestire il sistema diventa proibitivo).

Al momento la stessa fuoriuscita dall’emergenza sembra essere una impresa titanica. Manca infatti tutto: manca una visione strategica di come arrivare alla chiusura del ciclo (come gestire cioè i prossimi tre quattro anni), mancano gli impianti industriali che nello stesso periodo consentano di gestirlo, manca infine una azienda di gestione degna di questo nome.

L’Ama (ha ragione Ferrante) è infatti ormai un’azienda irrecuperabile balcanizzata da interessi politico-clientelari senza management e senza autonomia. Inoltre, nel corso degli ultimi 10 anni, ha fatto letteralmente a pezzi il suo apparato industriale. C’è da chiedersi come si sia arrivati a questo punto.

Anche perché la verità non corrisponde alla leggenda metropolitana ripetuta ancora una volta da Ciafani, secondo cui, a metà anni ‘90 il centro sinistra al governo a Roma e in Regione avrebbe sostanzialmente delegato le strategie in materia di rifiuti alla logica competitiva della discarica di Malagrotta e dei suoi gestori (con prezzi di smaltimento attestati alla metà della media nazionale).

È vero esattamente l’opposto. Senza bisogno di commissariamenti, in cinque anni (dal’95 al 2005) a Roma e nel Lazio venne programmata e realizzata un’opera imponente di infrastrutturazione industriale per il superamento di Malagrotta e delle centinaia di “buche” aperte con ordinanze dai sindaci dove, in assenza di impianti, in tutto il Lazio finiva semplicemente di tutto.

All’Ama furono così finanziati (e realizzati) i due grandi TMB di Salaria e di Roccacencia (Piano per l’ambiente 1997 - 2000 Regione Lazio - Ministero dell’ambiente), due impianti di separazione del multimateriale (Roccacencia e Laurentina), l’impianto di compost verde di Maccarese e il forno con recupero energetico dei rifiuti ospedalieri di Ponte Malnome.

Contestualmente, mentre a Roma e in Regione veniva finanziata e avviata la raccolta differenziata (il decreto Ronchi che recepisce le direttive UE è del ‘97), venivano autorizzati una serie di impianti di TMB privati e i due termocombustori di Colleferro (180.000 tonn./ anno) e di San Vittore (Cassino, 70.000 tonn./anno): un sistema articolato in cui mancava soltanto la localizzazione del termocombustore di Roma, ritardato per anni per l’opposizione strumentale e ideologica della sinistra “estrema” e assentito alla fine (2006) dalla Commissione (voluta da Walter Veltroni) presieduta da Walter Ganapini, la cui relazione si conclude sottolineando “la necessità di impianti per la valorizzazione energetica del Cdr prodotto dagli impianti di trattamento dei rifiuti” (pag. 58).

Il termocombustore e il suo ruolo di chiusura del ciclo, già previsti dal Piano della Provincia di Roma e dal dal Piano regionale (2002), viene ribadito dal Piano del commissario per l’emergenza rifiuti (2008). Nel 2007 si costituisce il Consorzio industriale tra Ama (33%), Acea (33%) e Colari per la sua costruzione. Ma alla fine del decennio il vento cambia radicalmente sotto il segno del populismo politico e giudiziario.

L’elezione prima di Alemanno, poi di Marino e Virgina Raggi alla guida del Comune, quelle di Renata Polverini in Regione e le Giunte Zingaretti nate sull’onda dell’affermazione dei 5 Stelle e della ideologia “rifiuti zero”, non solo interrompono le procedure di autorizzazione degli impianti ancora da realizzare (la fase di governo della destra) ma producono il progressivo abbandono di tutto il sistema creato nei 10 anni precedenti.

La chiusura di Malagrotta (2013) senza aver realizzato né individuato una discarica alternativa, è emblematica della mancanza di responsabilità di questa fase e finisce col ridurre a discarica tutta la città.

Ma non finisce qui, perché mentre non si fa nulla per chiudere il ciclo, contestualmente si procede a un progressivo smantellamento dell’apparato industriale dell’Ama realizzato negli anni precedenti: il forno per gli ospedalieri viene abbandonato; i due Tmb dopo anni di uso improprio come discarica transitoria vanno ripetutamente a fuoco; infine il termocombustore pubblico di Colleferro (di proprietà dell’Ama e di una società regionale) in piena emergenza rifiuti a Roma, nel 2018 chiuso dalla Giunta Zingaretti in occasione delle elezioni di quel comune.

Contestualmente (2014), intrecciandosi al populismo politico, il populismo giudiziario ha fatto partire con grande clamore da parte della Procura di Roma diretta da Pignatone (Pm responsabile Alberto Galanti) una maxi inchiesta (o meglio una raffica di inchieste) su Manlio Cerroni, sul gruppo Colari, su Comune, Regione e Ama ipotizzando reati anche a carico di ex presidenti di regione, assessori, dirigenti fino ai prefetti nominati commissari all’emergenza.

Il processo principale si concluderà dopo quasi cinque anni con la piena assoluzione di tutti perché il fatto non sussiste e caso più unico che raro registrerà in sentenza una apologia della imprenditorialità e dello spirito di servizio del principale imputato. Ma gli effetti dell’inchiesta, combinandosi con gli effetti perversi dell’ideologia “rifiuti zero” ormai dominante al Comune e in Regione, sono ugualmente fatali.

Si ferma, in particolare, definitivamente la costruzione in corso a Santa Palomba del gassificatore del consorzio pubblico-privato Coema. Ed eccoci al giorno d’oggi. Roma resta senza termocombustore, senza discarica e con due terzi degli impianti chiusi o fuori uso. Uscire dall’emergenza in queste condizioni evitando di ridurre le strade a discarica come avvenuto negli ultimi anni è, abbiamo detto, un compito quasi proibitivo.

Ha fatto bene il sindaco Gualtieri a sottolineare la necessità di un termo combustore per chiudere il ciclo anche se si tratta (lo hanno messo in evidenza sia Ermete Realacci che Edo Rochi) solo di un pezzo del sistema da realizzare. La vera partita si giocherà nella transizione, da oggi a tre - quattro anni e, per affrontarla, sarà necessario che a Roma e nel Lazio siano messi a fattor comune tutti gli impianti, le competenze e le capacità imprenditoriali esistenti.

Il tempo delle chiacchiere nel frattempo è infatti definitivamente tramontato

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