Diritti

Sarà la volta buona per lo Ius Scholae?

Secondo un sondaggio di You Trend per Action Aid, sei italiani su dieci sarebbero favorevoli a questa specifica riforma sulla cittadinanza, ma gli ostacoli sono ancora molti. Ne abbiamo parlato con Costanza Margiotta di Priorità alla Scuola
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Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
25 giugno 2022 Aggiornato alle 17:00

Un milione di bambinə e ragazzə che frequentano le scuole italiane non hanno gli stessi diritti deə loro compagnə di banco.

Le cose potrebbero cambiare, se solo venisse approvata la riforma dello “Ius Scholae, il disegno di legge che prevede la cittadinanza italiana anche per ə minori natə in Italia o che siano arrivatə nel Paese entro i 12 anni di età, che vi risiedano legalmente e che, soprattutto, qui abbiano frequentato almeno 5 anni di scuola.

Mercoledì 29 giugno la discussione arriverà alla Camera dei Deputati. Siamo di fronte a una svolta storica? «Il provvedimento ha già subito uno slittamento, e questo mi preoccupa», spiega alla Svolta Costanza Margiotta, coordinatrice del movimento Priorità alla Scuola.

«Ogni volta siamo di fronte a progetti di riforma della cittadinanza che non riescono mai ad andare in porto. La legge n. 91 del 1992 è una delle norme più arretrate d’Europa in materia di cittadinanza per bambini e ragazzi nati e/o cresciuti in Italia: ha già compiuto trent’anni», continua Margiotta.

Attualmente, come avevamo spiegato in un articolo esattamente un mese fa, la legge italiana prevede che una persona nata in questo Paese possa diventarne automaticamente cittadina nel caso in cui uno dei genitori sia italiano.

Per ə figliə di migranti natə in Italia, la cittadinanza deve essere richiesta dopo aver compiuto i 18 anni (ma entro i 19) e solo se, fino a quel momento, si è vissuti legalmente e ininterrottamente in Italia. Un’altra opzione possibile è il matrimonio con unə cittadinə italianə.

I modelli europei attorno a noi sono vari: in Francia, per esempio, vige lo ius soli. Chiunque vi nasca, è consideratə cittadinə francese.

In Spagna vale il diritto di sangue, per cui si diventa spagnolə se figliə di almeno un genitore spagnolo, ma per coloro che nascono sul territorio, si prevede la naturalizzazione dopo un solo anno di residenza. Anche in Germania vale lo ius sanguinis: si è considerati cittadinə tedeschə solo se si è figliə di cittadinə tedeschə. Ed è ciò che vale, salvo alcune eccezioni, anche in Italia.

In occasione dei 50 anni della Federazione Internazionale di ActionAid, organizzazione indipendente che opera in Italia dal 1989, una delegazione ha incontrato il Presidente Sergio Mattarella al Quirinale e ha espresso l’auspicio di veder realizzata in Italia la riforma della Legge sulla cittadinanza per ə ragazzə cresciutə nel nostro Paese.

Action Aid ha anche presentato, nella giornata del 24 giugno, i risultati di un sondaggio realizzato da Quorum/Youtrend per conoscere cosa pensano gli italiani della riforma: 6 italianə su 10 la vogliono.

«È altissima la percentuale di italiani a favore del cambio della legge sulla cittadinanza. Sarebbe grave che il Parlamento, o meglio i partiti, dimostrassero ancora una volta lo scollamento dal proprio elettorato», spiega Margiotta.

Emerge sempre di più, inoltre, che i consensi vadano oltre le appartenenze politiche, ormai: “il 48% degli elettori della Lega è d’accordo con lo Ius Scholae, come il 35% tra chi si dichiara elettore di Fratelli d’Italia e il 58% degli intervistati di Forza Italia”, dice il sondaggio.

«Alcuni studi precedenti avevano già mostrato come anche gli elettori dei partiti di destra fossero favorevoli allo Ius Scholae: questo la dice lunga sul carattere moderato di questa riforma rispetto a molte altre vigenti in Europa, perché è comunque molto restrittiva per bambini e ragazzi stranieri», sottolinea Margiotta.

La docente e ricercatrice spiega che «non stiamo chiedendo di far entrare in vigore lo Ius Soli, ma si tratta di una legge che prevede la cittadinanza per chi abbia frequentato almeno 5 anni consecutivi di scuola qui. Questo significa che chi arriva in Italia nel momento sbagliato rischia di non poter avere comunque accesso, e noi di Priorità alla Scuola abbiamo insistito che questo aspetto venga riformato. In ogni caso, saremmo già contenti se passasse così com’è».

Questa condizione riguarda 1 studente su 10, circa 877.000 in totale. Ma, come spiega Action Aid, “il numero reale di quanti studenti senza cittadinanza frequentano le scuole italiane è ignoto alla stragrande maggioranza degli intervistati (solo l’11% indica la cifra approssimativa corretta)”.

Una volta venuti a conoscenza del numero esatto, “la percentuale dei favorevoli si amplia ancora e chi era scettico cambia percezione: in totale il 37,6% degli intervistati è colpito positivamente”.

La conoscenza del fenomeno, dunque, fa cambiare prospettiva: il problema è che molte persone non conoscono i criteri della riforma e non sanno in cosa consiste la legge sulla cittadinanza che andrà in esame alla Camera: sono il 62%.

«I docenti sono preparati sull’argomento, perché si tratta di qualcosa sotto i loro occhi, ogni giorno, a scuola. I genitori vengono a scoprirlo dai figli, che gli parlano del compagno di classe “straniero”, che è un termine inesatto, oppure se ne rendono conto quando uno studente non può partecipare a una gita fuori dall’Italia organizzata dalla scuola, a una vacanza studio all’estero, a un Erasmus», spiega Margiotta.

Ora, se verrà approvata alla Camera, la riforma dovrà andare al Senato. «Ed è proprio in questo passaggio che si arenò l’altra volta». Margiotta spiega che l’iter sarà lungo e Priorità alla Scuola continuerà con le mobilitazioni anche quando riapriranno le scuole. L’ha fatto anche prima della chiusura e degli esami, con la campagna “È ora di cittadinanza”.

Prossimo appuntamento? Davanti alla Camera, il 29 giugno, con lo slogan “Italia dimmi di sì”.

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