Culture

Quanti “Smalltown Boy” esistono ancora?

“Non volevamo fare diventare i portabandiera dei diritti degli omosessuali. Eravamo solo tre persone apertamente gay che scrivevano canzoni in cui raccontavano della loro quotidinità”
Tempo di lettura 4 min lettura
12 dicembre 2021 Aggiornato alle 12:28

“Non volevamo fare diventare i portabandiera dei diritti degli omosessuali. Eravamo solo tre persone apertamente gay che scrivevano canzoni in cui raccontavano della loro quotidinità”: c’era un certo voluto understatement, nelle parole di Steve Bronski, co-fondatore dei Bronski Beat, in una intervista rilasciata un paio d’anni fa. Oggi dobbiamo piangere la sua scomparsa, avvenuta da pochi giorni, il 9 dicembre 2021, scomparsa che va a sommarsi a quella di un altro membro originario della band, Larry Steinbachek, deceduto a fine 2016. Resta in vita il solo Jimmy Somerville, che già dopo il primo album – “The Age Of Consent” – aveva deciso di abbandonare il gruppo per dare vita a un altro progetto, i Communards, assieme a Richard Coles.

Quel disco d’esordio dei Bronski Beat ha tuttavia cambiato la storia della musica pop. E non solo della musica pop. L’ha fatto principalmente con la forza di una canzone e di un video che ancora oggi sono di una intensità devastante: “Smalltown Boy”. Chiunque sia stato esposto alla MTV di metà anni ’80 non può non avere scolpita nella memoria il synth pop geometrico e al tempo stesso lancinante del brano, così come non può aver dimenticato il video girato da Bernard Rose, che ripercorre didascalicamente ma con una straordinaria eleganza, essenzialità e forza visiva il doloroso testo della canzone. Erano anni in cui essere omosessuali in Inghilterra era davvero difficile: sotto il giogo benpensante del thatcherismo, era sì legale avere rapporti omosessuali (cosa tra l’altro direttamente illegale fino al 1967) ma era permesso farlo solo dopo il compimento del ventunesimo anno d’età. Proprio a questo si ispira il titolo dell’LP, “The Age OF Consent”: l’età in cui si è in diritto di autodeterminare le proprie scelte sessuali personali. Non era però certo questa la soluzione del problema. Col compimento dei ventun’anni, cambiava poco.

Anche se si era già nella “Age Of Consent” come età, nell’Inghilterra thatcheriana era infatti possibile trovare mille ostacoli e discriminazioni – ostacoli rivolti scientificamente a vari strati della società che non fossero allineati col mondo “ideale”, performante e spietato voluto dalla Lady di Ferro, a partire dalla galassia dei minatori. Il film “Pride”, uscito nel 2014, raccolta in maniera nitida e appassionante questa complicata situazione; ma racconta anche come il pregiudizio del cittadino medio inglese, thatcheriano o anti-thatcheriano che fosse, risultasse ancora profondamente omofobo. Violento.

Un atto di coraggio non da poco, per i Bronski Beat, uscire con una canzone del genere nel 1984. E anche per l’industria discografica di credervi, mettendo la band sotto contratto (il primo pretendente per i tre era stata la ZTT di Trevor Horn, che poi scelse invece i Frankie Goes To Hollywood): promuovendola, finanziandone i video, supportandola. Vero: nel pop inglese l’androginia in quegli anni era di moda (dai Culture Club di Boy George agli Eurythmics di una Annie Lennox allora volutamente maschile nell’abbigliarsi gli esempi possono essere mille), ma una cosa più di tutte mancava alla dimensione omosessuale, la dimensione che più sarebbe naturale e da dare per scontata: la normalità, la quotidianità. Il non essere “spettacolo”, il non essere “fenomeno da baraccone”, ma semplice cittadino. Fuggire dalla dimensione più rurale della Scozia per andare a cercare delle “oasi” nella Grande Città, a Londra, era l’unico modo per provare ad avere (forse) una vita libera.

Ma anche lì: attorno a molti eroi del pop c’era ancora un alone imposto di pesante reticenza e ambiguità. Nel 1984 per dire né George Michael né Freddie Mercury avevano ancora professato liberamente il loro essere gay. Sapevano che poteva diventare una zavorra per la loro carriera. E procurargli, in genere, dei guai. Fu il travolgente successo della hit (e del video a essa legato) dei Bronski Beat a (ri)aprire in maniera molto più concreta la questione, le linee d’azione, la possibilità di scegliere, nel dibattito pubblico. Il dibattito politico restò tuttavia avvelenato a lungo, in Inghilterra: il famigerato emendamento alla Sezione 28 varato 1988 intimava alle istituzioni – anche quelle scolastiche educative – di non promuovere in alcun modo l’omosessualità. Emendamento che venne ritirato solo nel 2003.Quanto tempo è passato da “Smalltown Boy”? Quanti passi in avanti sono stati fatti? Alcuni sono indubbi, fra questi passi. Ma la strada è ancora lunga. Molto lunga. Quante “small town” reali o virtuali esistono ancora in Inghilterra, in Italia e in mille altre parti del mondo da cui è obbligatorio fuggire, per riuscire a vivere una vita normale? Somerville e i compianti Bronski e Steinbachek hanno avuto la forza e l’ispirazione per raccontare quasi trent’anni fa, con un piccolo capolavoro pop, una storia spinosa, drammatica. Storia che si porta dietro molte anime nere che attraversavano allora, e ancora oggi attraversano, la nostra società.