Futuro

La Pubblica Amministrazione che vorrei

Autore del libro “Il Divario”, Gianluca Sgueo ha spiegato alla Svolta che per ridurre carta e tempi d’attesa, semplificare l’accesso al servizio pubblico e i controlli amministrativi, sarà fondamentale un impiego intelligente delle risorse del Pnrr
Credit: Sam Moghadam Khamseh/Unsplash
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
30 giugno 2022 Aggiornato alle 19:00

Chi durante le lunghe file per timbri, moduli e scartoffie varie non ha sognato uno Stato completamente digitalizzato ed efficiente? Se potessimo, vorremmo tutto a portata di smartphone: il che vuol dire semplice, veloce, gratuito. E, volendo, anche personalizzato e con un design e una grafica accattivanti.

Tra le tecnologie di ultima generazione sperimentate dalle realtà private e i mezzi del servizio pubblico vi è una differenza difficile da colmare. Su questo e molto altro si interrogano le pagine de “Il divario” di Gianluca Sgueo, docente universitario e consulente del ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. Il libro, edito da Egea, esamina i passi compiuti e le prospettive future.

Nell’era di Amazon e Paypal, ipnotizzati dalla miriade di piattaforme streaming offerte dal mercato, abbiamo alzato notevolmente le nostre aspettative nei confronti dei servizi di cui usufruiamo: pretendiamo che siano rapidi, facili da utilizzare, smart.

In sostanza, che ci facciano perdere il minor tempo possibile. Ma, al di fuori del nostro piccolo schermo, il mondo è dominato da contraddizioni e continua a muoversi a più velocità: se da una parte il progresso del digitale si fa sempre più incalzante, quello delle strutture sociali e giuridiche arranca faticosamente per tenere il passo. Basti pensare che il 95% dei dati globali viaggia attraverso 1,3 milioni di cavi sottomarini, ma l’accordo internazionale che ne regola il funzionamento risale al 1884.

«La mia riflessione sul tema», ha spiegato alla Svolta, il professor Sgueo, «si risolve in sostanza in un invito a preservare il valore della complessità del patrimonio pubblico: la semplificazione e la rapidità non possono e non devono pregiudicare aspetti importanti come l’equità, la trasparenza e l’accessibilità. L’esigenza di bilanciarli, per forza di cose, è molto meno sentita nel settore privato».

La forbice tra la società e l’innovazione digitale è destinata probabilmente ad aumentare negli anni. «Mentre la tecnologia evolve con una progressione esponenziale, la società, i sistemi politici e giuridici procedono in misura incrementale, cioè progressivamente».

A ben vedere poi, il divario non è uno: sono molti e si sovrappongono. «C’è il divario geografico, rappresentato dal gap nell’accesso alla rete e nelle opportunità digitali tra il centro e la periferia, tra il Nord (mediamente più connesso) e il Centro-Sud, ma anche tra l’Italia, sebbene non sia tra i peggiori, e il resto d’Europa. A questi si affianca, poi, il divario sociale e di genere: per esempio, secondo le statistiche le donne incontrano maggiori difficoltà nel fruire della connessione internet e in generale del mondo digitale».

Gli ambiti in cui è possibile intervenire e migliorare sono molti, però: dalla riduzione della carta e dei tempi d’attesa, alla semplificazione dell’accesso al servizio pubblico e dei controlli amministrativi. La messa a punto dei nuovi strumenti dovrebbe avere come obiettivo il principio “once only”: i cittadini e le imprese non dovrebbero più fornire informazioni già trasmesse in passato alla PA, di qualunque ente si tratti. Il dato una volta rilasciato dovrebbe restare disponibile nell’archivio, evitando quindi duplicazioni e lungaggini.

La materia è trasversale e tocca tantissimi settori. «Da una parte, occorre investire sulle competenze digitali, in modo da garantire un uso consapevole di strumenti, soprattutto per le fasce sociali più fragili, che fanno più fatica a informatizzarsi, come per esempio gli anziani. Dall’altra è necessario dare priorità di spesa e realizzazione a tutti i servizi, dalla scuola, alla sanità e al servizio pensionistico».

Il trend è pur sempre positivo, accelerato dalla pandemia. I problemi organizzativi legati al distanziamento sociale, scatenati dalla pandemia, hanno sicuramente dato un certo impulso al percorso di digitalizzazione del Paese: a cominciare dalle misure di contenimento e gestione delle file attraverso il metodo delle prenotazioni online.

A incidere anche l’utilizzo sempre più intenso e massiccio dei telefoni cellulari: tra il 2019 e il 2021 abbiamo aumentato la quantità e modificato la qualità del tempo che trascorriamo in compagnia dei nostri smartphone. Li usiamo in media 96 volte a giorno e negli ultimi anni le interazioni sono aumentate del 20%.

Nel 2021 in Italia lo Spid ha raggiunto i 27,4 milioni di identità attivate, le carte d’identità elettronica rilasciate si sono attestate sui 26 milioni: circa metà della popolazione italiana attualmente dispone di un’identità digitale. L’applicazione Io, che consente di interagire con diverse amministrazioni nazionali e usufruire del 98% dei servizi pubblici comunali, è stata utilizzata da circa 6 milioni di utenti ogni mese. Il portale PagoPA ha registrato 182 milioni di transazioni pari nel complesso a 33, 7 miliardi di euro.

«È chiaro che si porranno sempre più dei problemi in termini di privacy e sicurezza che dovranno essere risolti non solo su un piano nazionale, ma anche europeo e infine mondiale. Per quanto riguarda l’Italia, una parte dei fondi del Pnrr stanziati per la transizione digitale, saranno proprio riservati ad approntare una difesa efficace dei dati personali».

In generale, il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) sarà cruciale per lo sviluppo di un Paese digitalizzato. Per costruirlo, è necessario partire dagli utenti, dai beneficiari della transizione digitale.

«Diventerà necessario un cambiamento nella narrazione. Per questo, ero interessato a raccontare più che i tecnicismi, la situazione attuale e i cambiamenti sociali e culturali auspicabili. Qualcuno parla, al riguardo, di “co-creazione”. È un’idea che si spinge oltre la partecipazione democratica e che punta non solo a coinvolgere i cittadini, ma a capitalizzarne il sapere civico, come spiego anche nel libro. In altre parole, i servizi pubblici co-decisi presentano il grande vantaggio di ridurre sensibilmente la separazione tra i funzionari pubblici e i cittadini. Il divario tra aspettative e realtà può essere colmato con efficacia ponendole sullo stesso piano e anzi, facendo sì che lavorino assieme».

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