Culture

L’altra Luna, il film che ci insegna a essere liberə

Grazie alla storia d’amore di Luna e Martina, la pellicola di Carlo Chiaramonte ci offre l’occasione di riflettere sui diritti delle donne, sulla violenza fisica e psicologica. E su quanto possa essere difficile, a volte, concedersi la libertà di essere chi si vuole
Una scena dal film L'altra Luna, regia di Carlo Chiaramonte
Una scena dal film L'altra Luna, regia di Carlo Chiaramonte
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20 giugno 2022 Aggiornato alle 19:00

Si cresce con l’idea che il piccolo mondo dove siamo natə sia quello più giusto possibile. E, invece, «basta poco, un incontro, un amore e tutto cambia». Questo mutamento, però, può accadere solo se si ha il coraggio di ascoltarsi e andare incontro a nuova vita, ancor più in un ambiente chiuso e trincerato nelle proprie tradizioni.

Come racconta la sinossi ufficiale del film L’altra Luna, Luna (Luna Zimic Mijovic) frequenta lultimo anno di studi allUniversità di Sarajevo e sta per sposarsi con il suo fidanzato di lunga data, Haris (Arimin Omerovic). Il padre, Saša (Senad Basic), è un importante chirurgo di origine serba mentre la madre, Amela (Selma Alispahic), è di famiglia musulmana ma non praticante.

Luna ha anche un fratello minore, Nermin (Fedja Zahirovic), adolescente problematico, razzista e xenofobo, in forte conflitto con i genitori e frequenta un giro poco raccomandabile di teppisti di strada, coinvolti in aggressioni ai danni di zingari e barboni.

Maja (Maja Juric) è la migliore amica di Luna: una bellissima biondina dal carattere duro e spigoloso che vive nella casa accanto insieme al fratello Esad (Esad Bilic). Le due ragazze sono cresciute insieme perché Maja ed Esad sono orfani e i genitori di Luna si sono occupati di loro fin da piccoli. Haris, dal canto suo, proviene da una famiglia potente e lavora presso lo studio del padre, il più importante avvocato daffari del paese.

Tutto comincia in una fredda serata dinverno quando Martina (Tania Bambaci) arriva a Sarajevo. La donna sta attraversando un momento di profonda crisi personale: oppressa da un padre invadente e incerta di fronte al suo futuro professionale, dopo aver troncato lennesima superficiale storia damore decide di prendersi del tempo e ritrovare se stessa. Martina è ospite da Matteo (Matteo Silvestri) suo amico di vecchia data, socio in affari di Haris e fidanzato con Maja.

Luna e Martina si incontrano a cena a casa di Matteo e sono fin da subito incuriosite e attratte l’una dall’altra. Nonostante la vita di Luna sembri scorrere normalmente, la vicinanza di Martina la scuote non poco. Le due ragazze iniziano a frequentarsi assiduamente e, man mano che la loro amicizia si fa più profonda, si isolano dal mondo circostante per trascorrere sempre più tempo insieme.

Matteo, preoccupato, affronta con durezza Martina che però non si lascia intimorire e si trasferisce nella casa disabitata che la nonna ha lasciato in eredità a Luna. Qui le due ragazze fanno lamore per la prima volta. Tra loro nasce così una relazione tenera e coinvolgente che, consapevoli del contesto, mantengono segreta.

Intrisa della cultura bosniaca dentro cui è sempre vissuta, Luna è spaventata e respinge inizialmente quelle domande ed emozioni che comincia ad avvertire.

Il regista Carlo Chiaramonte, co-sceneggiatore insieme a Carla Scicchitano, Elma Tataragić e Asja Krsmanović, provenendo da lavori documentaristici, mostra un approccio molto realistico rispetto alla situazione presente, non solo nella ripresa degli ambienti (direttore della fotografia Beppe Gallo; scenografia curata da Marco Dentici), ma ancor più nel racconto delle relazioni e del “sistema” sociale e familiare.

È necessario, per esempio, un episodio che compie Nermin per cogliere come la sorella maggiore rispetti la sua richiesta (seppur posta con tono minaccioso) di non rivelare l’accaduto alla famiglia e adotti un atteggiamento protettivo. Dall’altro lato lui non ricambia il gesto fraterno, anzi. E questo è sintomo anche di una forma mentis molto patriarcale di predominanza, in qualsiasi tipo di rapporto dell’uomo sulla donna.

In questa circostanza si rivela fondamentale l’amicizia tra Luna e Selma (Amila Terzimehic), compagna di studi, la quale, pur essendo molto devota nella sua fede musulmana - aspetto essenziale, stupirà per la reazione umana - non riesce a stare ferma conscia dei pericoli che sta vivendo una donna.

«Il mio personale rapporto con la capitale bosniaca è forte, profondo e di lunga data: la mia prima volta in città fu nel marzo 1996, appena pochi mesi dopo la fine della guerra», ha raccontato Chiaramonte aggiungendo come «nel maggio del 2011, poco prima di partire per Sarajevo, avevo avuto una lunga conversazione con una giovane amica che stava attraversando una sorta di tragedia familiare perché i suoi genitori, fino ad allora alloscuro della sua omosessualità, avevano appena scoperto la sua relazione lesbica con una ragazza».

«Così - continua - mentre a Sarajevo passavo per la principale strada pedonale del centro sempre affollata di ragazzi a passeggio, la visione per me ormai consueta, ma sempre affascinante, di una coppia di giovani amiche che procedevano sotto braccio, luna velata secondo tradizione islamica e laltra vestita “alloccidentale” in maniera persino provocante, mi ha colpito in modo del tutto nuovo».

Questo esordio nel lungometraggio fa riflettere sui diritti delle donne in generale e, specificatamente, in alcune zone; su quanto sia difficile concedersi la possibilità di essere in primis liberə, di come la violenza fisica e psicologica possano essere le prime armi per togliere la dignità di essere umano e come ciò spesso provenga da chi è maggiormente vicino.

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