Diritti

L’italia non è un Paese per giovani, né per madri

Nel suo nuovo libro, “L’età del cambiamento. Come ridiventare un Paese per giovani”, la giornalista Silvia Sciorilli Borrelli affronta il tema “maternità e lavoro”. Partendo da un’indagine realizzata da Freeda Media. Ne abbiamo parlato con l’autrice
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
16 giugno 2022 Aggiornato alle 21:00

Vietato riprodursi. Uno dei capitoli del nuovo libro della giornalista Silvia Sciorilli Borrelli, corrispondente per il Financial Times da Milano, non lascia spazio a equivoci.

L’età del cambiamento. Come ridiventare un paese per giovani”, edito da Solferino, dedica parte delle 200 pagine al tema “conciliazione maternità e lavoro”, partendo da una ricerca inedita della digital media company Freeda. Lo studio nasce da un’idea di Borrelli, che in un passaggio del suo libro cerca di capire le ragioni per cui l’Italia è uno dei Paesi dell’Ocse con il più basso tasso di natalità.

«Ho sempre lavorato per testate straniere e mi sono ritrovata due volte nella posizione di dire al mio superiore di essere incinta, con tutta l’ansia che mi portavo dietro perché culturalmente, in Italia, questo continua a essere un tema», spiega alla Svolta Borrelli, che in passato ha lavorato per Politico Europe e per Cnbc a Londra, occupandosi di attualità economica e politica e, soprattutto, di Brexit.

«Il mio datore di lavoro straniero non ha reso la mia maternità una diminuzione rispetto alla mia professionalità, anzi, mi ha dato opportunità di crescita. Un’anomalia rispetto all’Italia, dove non è così per tantissime amiche e persone con cui mi confronto ogni giorno», continua la giornalista. «Bisognava parlarne perché è qualcosa che si affronta sempre tra donne, sempre sottovoce».

Il suo libro pone al centro il lavoro e ə giovani, e analizza perché questə non siano ancora una priorità per il suo Paese d’origine, pur essendo la chiave per la crescita dell’Italia intera. Il capitolo nove analizza i dati dell’indagine di Freeda, realizzata online a dicembre del 2021 tra Italia, Spagna e America Latina attraverso i propri canali social, dove riunisce una community da oltre 9 milioni di persone tra Instagram, Facebook, TikTok e LikedIn. Le risposte delle 500 intervistate, tra i 25 e i 44 anni, parlano chiaro: per il 77% di loro la società mette le donne di fronte a una scelta tra fare carriera e formare una famiglia.

Come spiega Borrelli nel libro, “al 42% è stato chiesto almeno una volta in sede di colloquio di lavoro se avessero intenzione di avere figli. Il 91% ha trovato la domanda fuori luogo, eppure il 72% ha risposto dicendo la verità”. Un altro 59% ha dichiarato che ha avuto o avrebbe paura di comunicare ai propri capi di essere incinte.

Perché? Per il timore, nella maggioranza dei casi, di un demansionamento. O, per il 21%, di un licenziamento. Per l’11%, di episodi di mobbing, quella sistematica persecuzione esercitata da colleghi o superiori nei confronti di qualcuno sul posto di lavoro.

Eppure, questi comportamenti, secondo il codice delle Pari Opportunità, sarebbero vietati. Ma, come scrive Borrelli, anche se è entrato in vigore nel 2006, sembra che fin troppi datori di lavoro lo ignorino. Anzi, troppo spesso le pratiche promosse dalle aziende non sono altro che operazioni di marketing, anche se «sono questioni che riguardano il mondo del lavoro, l’economia italiana: non può funzionare così in un Paese che soffre di denatalità, che ha bisogno di risollevarsi e trovare un modo per pagare le pensioni e ripagarsi il debito pubblico», sottolinea Borrelli.

Racconta di aver scritto il libro durante i 5 mesi di maternità obbligatoria prevista per ə lavoratorə dipendenti del Financial Times, il quotidiano economico-finanziario britannico in cui era stata assunta da poco più di un anno, prima di assentarsi dall’ufficio. È una “non-notizia” che qualcuno si prenda una pausa dal lavoro per unə nuovə arrivatə, perché “è l’azienda a garantire 5 mesi alle donne e 6 settimane ai padri a prescindere dalla legislazione nazionale”.

I padri, questi sconosciuti: nel dibattito pubblico si parla troppo poco degli uomini e del loro ruolo nella costruzione di una famiglia. Lo spiega alla Svolta Andrea Scotti Calderini, Ceo e Co-Fondatore di Freeda: «Di recente un lavoratore all’interno del nostro gruppo ha avuto un figlio e si è preso dieci giorni di paternità. Nonostante questo, tutti lo chiamavano, gli scrivevano, lo riempivano di mail. Dobbiamo dare al congedo di paternità la stessa valenza che diamo alla maternità, perché fare figli è una responsabilità al 50%».

Calderini fa l’esempio della Spagna, dove Freeda ha una sede: lì la formula è uguale per donne e uomini ed equivale a sedici settimane. «È in quella direzione che dobbiamo andare».

Ma il 64% delle donne raggiunte dall’indagine ritiene ancora che avere figliə in età giovanile sia un limite in termini di carriera e guadagno. Per questo “tante altre donne scelgono di aspettare, di rimandare, perché temono che i loro sforzi di avanzamento professionale possano essere vanificati da un figlio, la carriera buttata in un cestino”, scrive Borrelli.

E la community di Freeda lo conferma: il 35% delle intervistate ritiene che non sia possibile conciliare la carriera con ə figliə e il 32% sta considerando di lasciare il lavoro che ha scelto con passione per fare la madre. Un numero analogo di donne (il 33%), però, non lo farebbe mai.

«È anche un tema di competitività aziendale», spiega Calderini. «Non conviene essere un’azienda che discrimina la genitorialità, né un’azienda poco flessibile o poco trasparente: sono comportamenti che non attraggono né talenti né business».

Si tratta, infatti, di un problema economico che riguarda donne, uomini e imprese. «Ma ci fermiamo davanti a tutti gli altri problemi che affogano il Paese ancora prima di arrivare a parlare di quote di genere», dice Borrelli.

Da dove deve partire, allora, questo cambiamento? «Deve diventare una lotta intergenerazionale e noi dobbiamo uscire dalla logica che si tratti di una questione femminista», spiega Borrelli. «Deve necessariamente passare dallo Stato, attraverso riforme, sistemi e meccanismi di controllo delle leggi che già esistono ma non funzionano e vengono ignorate, politiche aziendali».

Il primo passo, però, deve essere uno sforzo collettivo: «Ci vorrà del tempo perché mentalità e cultura cambino, non capita dall’oggi al domani», chiude Borrelli. «Ma bisogna parlarne adesso».

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