Diritti

La questione irrisolta delle famiglie afghane

Da quando Kabul è caduta nelle mani dei Talebani, oltre al problema di riunificare i profughi evacuati, c’è quello di garantire loro un’esistenza stabile in un Paese straniero. Come gli Stati Uniti
Circa 200 profughi afghani atterrano alla base navale di Rota, in Spagna
Circa 200 profughi afghani atterrano alla base navale di Rota, in Spagna Credit: EPA/Roman Rios
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17 giugno 2022 Aggiornato alle 09:00

Il 30 agosto del 2021 si è conclusa la drammatica guerra americana in Afghanistan, durata 20 anni. Nel giro di poche settimane, la capitale Kabul è caduta nelle mani dei Talebani mentre le forze occidentali evacuavano nel caos le proprie truppe insieme a decine di migliaia di cittadini, in quella che viene considerata la più grande evacuazione dai tempi del Vietnam.

Grazie a un massiccio ponte aereo, circa 76.000 rifugiati sono volati verso gli Usa per sfuggire al nuovo regime e sperare in una vita migliore. Ma se da una parte è finito un dramma, dall’altra ne è iniziato uno nuovo che dura tuttora.

Durante l’evacuazione molte famiglie sono rimaste separate a causa dell’enorme difficoltà nel garantire la fuga al personale che aveva collaborato con le forze occidentali e a tutte quelle persone (attivisti, difensori dei diritti umani, politici locali) che potevano essere in pericolo di vita. Vivendo ora sparsi negli Stati Uniti, diversi di loro continuano a cercare madri, mariti, parenti e figli, molti dei quali sono rimasti in Afghanistan.

Un percorso difficile e insidioso causato dal fatto che gli Usa non hanno personale sul suolo afghano in grado di accelerare le procedure di ricongiungimento, oltre che dagli immensi problemi burocratici nel gestire migliaia di rifugiati.

«Chiunque è stato separato a causa dell’evacuazione è una priorità. La sfida è questa: come gestisci la priorità? Come decidi chi è su quel volo o su un altro?», ha dichiarato Shawn VanDiver, fondatore del network di veterani militari, esperti di intelligence e di sicurezza nazionale AfghanEvac Coalition.

Dalla fine dell’evacuazione generale, l’Amministrazione Biden è stata in grado di far uscire dall’Afghanistan oltre 9000 persone, con un rateo di 350 individui a settimana. Ma oltre al problema di riunificare le famiglie, vi è quello di garantire a loro un’esistenza stabile in un Paese straniero.

Diversi rifugiati stanno sperimentando molteplici difficoltà a trovare un’occupazione, una casa o anche solo una situazione socialmente accettabile. Le problematiche linguistiche impediscono una rapida integrazione, mentre molti vivono in un limbo in attesa della green card, cosa che potrebbe durare anni secondo le procedure in vigore.

Molti bambini, a causa della separazione dai genitori, stanno sopportando un notevole stress psicologico con episodi di depressione, violenza e tentativi di fuga dai centri di accoglienza: «Questi giovani afghani stanno sperimentando elevati traumi e problematiche mentali derivanti dall’esperienza vissuta in una nazione in guerra, esacerbata dal caotico e irrituale arrivo solitario in una terra straniera. Qualcosa come una semplice chiamata verso casa è estremamente emozionale», hanno affermato gli operatori della ONG Heartland Alliance.

Nel corso dei prossimi mesi la questione continuerà a essere una sfida complessa e drammatica, anche a causa dei rapporti ostili fra i Talebani e il governo degli Stati Uniti. Non facilitati dalle sanzioni americane in atto e dalle politiche attuate dal nuovo regime dei Mullah.

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