Ambiente

Il vento dell’Est sta cambiando

Negli ultimi dieci anni, la Cina ha ridotto in modo sensibile il livello di inquinamento atmosferico. Ma la meta è ancora lontana dagli obiettivi dell’Oms, anche per gli Stati vicini
La zona umida del lago Chishan, in Cina orientale
La zona umida del lago Chishan, in Cina orientale Credit: Xinhua/Yang Lei
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
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15 giugno 2022 Aggiornato alle 11:00

In 7 anni, la Cina ha ridotto l’inquinamento atmosferico quanto gli Stati Uniti negli ultimi 30.

È quanto emerge dai dati dell’Energy Policy Institute dell’Università di Chicago, secondo i quali dal 2013 al 2020 la quantità di particolato nocivo presente nell’aria è stata ridotta del 40%, aumentando di circa 2 anni l’aspettativa media di vita.

Il risultato è figlio delle politiche attuate dal governo della Repubblica Popolare, che nel 2014 ha «dichiarato guerra» allo smog definendolo «l’allarme rosso lanciato dalla natura contro uno sviluppo inefficiente e cieco».

Le parole pronunciate dal premier facevano seguito al Piano d’azione nazionale per la qualità dell’aria varato nel 2013, che stanziava 270 miliardi di dollari più altri 120 miliardi disposti dalla sola città di Pechino, con l’obiettivo di ridurre il PM10 di almeno il 10% rispetto ai livelli del 2012 entro il 2017.

Le strategie per realizzarlo prevedevano misure quali aumentare la quota di energia rinnovabile, proibire la costruzione di nuove centrali a carbone, ridurre la produzione di ferro e acciaio, limitare il numero di auto in circolazione e integrare la riduzione dell’inquinamento negli incentivi dei funzionari governativi.

Quattro anni dopo quella dichiarazione di guerra, la Cina aveva vinto una battaglia importante contro quella che i media avevano ribattezzato Airpocalypse.

Nel 2018, infatti, la concentrazione di particolato fine nell’aria era stata ridotta in media del 32%, e nel 2020 la Cina è uscita dalla cinquina dei Paesi più inquinanti al mondo, record che deteneva dal 1998.

«Il successo della Cina nella riduzione dell’inquinamento è una forte indicazione delle opportunità che potrebbero presentarsi ad altre nazioni se dovessero imporre forti politiche anti-inquinamento, come alcuni stanno iniziando a fare», hanno affermato i ricercatori.

Oggi, secondo l’Air Quality Life Index pubblicato il 14 giugno, oltre il 97% della popolazione mondiale vive in aree dove l’inquinamento atmosferico da particolato (PM 2.5) supera i livelli raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Lo smog riduce di 2,2 anni l’aspettativa media di vita, con un impatto «paragonabile a quello del fumo, più di tre volte quello del consumo di alcol e acqua non potabile, sei volte quello dell’Hiv/Aids e 89 volte quello del conflitto e del terrorismo», sostiene lo studio.

«Sarebbe un’emergenza globale se i marziani venissero sulla Terra e spruzzassero una sostanza che fa perdere alla persona media del Pianeta più di 2 anni di aspettativa di vita. È simile alla situazione che si sta verificando in molte parti del mondo, tranne per il fatto che stiamo spruzzando noi la sostanza, non invasori venuti dallo spazio», ha commentato l’economista Michael Greenstone, tra gli autori dell’Indice.

«Fortunatamente la storia ci insegna che non è necessario che le cose vadano così», ha aggiunto Greenstone. «In molti luoghi del Pianeta, come gli Stati Uniti, politiche forti supportate da una altrettanto forte volontà di cambiamento sono riuscite a ridurre l’inquinamento atmosferico». Meglio anche il Vecchio Continente, in particolare l’Europa orientale.

Cattive notizie arrivano invece dall’Asia meridionale. A portare la maglia nera, quasi alla lettera, è il Bangladesh, che risulta il Paese più inquinato al mondo seguito da India – dal 2013 responsabile del 44% dell’aumento mondiale di inquinamento – con alle spalle Nepal e Pakistan.

Se questi 4 Paesi si adeguassero alle nuove linee guida dell’Oms, l’aspettativa di vita della relativa popolazione crescerebbe in media di 5 anni.

«Ora che la nostra comprensione dell’impatto dell’inquinamento sulla salute umana è migliorata, c’è un motivo più forte per i governi di dargli la priorità come questione politica urgente», conclude il rapporto.

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