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Ambiente

Barcellona sfida lo spreco alimentare

Abbiamo osservato da vicino come la Capitale dell’Alimentazione Sostenibile 2021 si organizza per prevenire e lottare contro perdite lungo la filiera agroalimentare. Offrendo, da Mercabarna alla Fundacion Espigoladors, modelli d’ispirazione per un’economia sostenibile e partecipativa
di Rebecca Zaccarini
Tempo di lettura 12 min lettura
16 giugno 2022 Aggiornato alle 11:00

Di cosa parliamo quando parliamo di spreco?

Discutere di spreco alimentare significa affrontare tre grandi verità: la prima è che prevenire sarebbe meglio che curare e che serve davvero un cambio di rotta nel modo in cui ci rapportiamo con il nostro Pianeta.

La seconda è che bisogna andare oltre le apparenze non solo nelle favole, ma anche nella vita quotidiana, pensando a un alimento come utile e utilizzabile se sicuro dal punto di vista alimentare e non sulla base di criteri estetici, di forma o dimensione. Una melanzana “brutta” può anche essere una buona melanzana, per intenderci!

La terza è che la sinergia tra le parti è fondamentale per trovare soluzioni concrete e che quindi è improbabile un miglioramento della situazione se istituzioni, aziende, cittadini, enti del terzo settore non lavorano concretamente insieme.

Come consumatori, abbiamo un potere enorme: la scelta, essenziale per rispondere consapevolmente alle proposte dell’industria e domandare alle istituzioni e ordinamenti sostenibili.

Nel 2016 la mia scelta è stata quella di fondare, insieme ad altre persone, un’associazione a promozione sociale che si occupa di spreco alimentare e inclusione sociale - RECUP APS - che opera nei mercati di Milano e Roma e al Mercato Ortofrutticolo all’Ingrosso di Milano.

Tralasciando i motivi per i quali ho iniziato a fare recup (basta pensare che buttando via 1 kg di banane si buttano via 715 litri di acqua - cioè - una doccia da 2h e 30 minuti e che RECUP, nel suo piccolo, salva circa 1 t di banane a settimana, oltre che molte altre eccedenze), l’accostarmi al mondo della sostenibilità ambientale mi ha permesso di conoscere progetti con obiettivi simili e modus operandi differenti e di capire che, per cambiare qualcosa, non bastano impegno, sogni e volontà dei singoli, ma visioni condivise e obiettivi concreti come individui facenti parte di una società.

Innanzitutto, è importante sapere che quando si parla di spreco alimentare ci si riferisce, con un termine generico, a perdite e sprechi alimentari, che differiscono tra loro nella posizione che occupano lungo la catena agroalimentare.

Le perdite alimentari avvengono nelle prime fasi della filiera, dalla semina al trasporto, passando per il raccolto, la conservazione e l’eventuale prima trasformazione del prodotto (se dal grano facciamo la farina, per intenderci!).

Gli sprechi alimentari, invece, sono quelli che più ci toccano da vicino come consumatori. Si posizionano in fondo alla filiera, nelle fasi di distribuzione organizzata, ristorazione e, ovviamente, consumo finale. L’ultimo Food Waste Index Report 2021 sottolinea che, solo gli sprechi alimentari, a livello mondiale, sfiorano le 931 milioni di tonnellate di cibo annue.

Se si sommano alle perdite agricole, pari a 1.200 milioni di tonnellate all’anno, si arriva facilmente a considerare che ⅓ del cibo prodotto globalmente viene buttato via, pesando sull’ambiente con l’8% delle emissioni di gas a effetto serra.

A leggere questi dati, così pesanti, può sembrare che nulla venga fatto per migliorare il nostro ingombro sulla terra. Eppure, negli ultimi anni qualcosa si muove sempre di più, a ogni livello della filiera e per mano di diversi soggetti.

Le normative anti-spreco

L’Italia è tra i pionieri della lotta allo spreco alimentare, essendo dotata dal 2003 di una legge che consente alla distribuzione organizzata di donare le eccedenze a enti benefici (Legge 155/2003 o “Del Buon Samaritano”), rivisitata e semplificata nel 2016 per implementare obiettivi ambientali e facilitare la burocrazia (Legge 166/2016 o “Legge antispreco”).

In concomitanza con la fine di Expo 2015, inoltre, insieme ad altri 216 città nel Mondo, Milano ha firmato l’Urban Food Policy Pact, dotandosi di un ufficio Food Policy per rendere i sistemi alimentari più sostenibili, garantire le biodiversità, lottare contro gli sprechi alimentari.

Negli stessi anni la Francia, con la legge N° 138-2016, ha perseguito i medesimi obiettivi con modalità diverse. In Francia ci sono multe per chi spreca, in Italia incentivi nel donare, invece che buttare via.

Il governo Spagnolo, invece, ha approvato proprio in questi giorni un disegno di legge che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2023, dopo l’approvazione in Congresso e Senato. Il testo è molto simile a quello già autorizzato dal parlamento Catalano con la legge N° 3/2020, in cui il focus è di ridurre lo spreco attraverso la prevenzione.

Infatti, i soggetti che fanno parte della catena agroalimentare saranno tenuti a elaborare piani strategici tramite i quali dichiarano il proprio disegno di prevenzione e soluzione e forniscono dati trasparenti sul potenziale spreco generato.

Ovviamente, anche in questo caso, ove diviene impossibile prevenire, è necessario curare: se bisogna buttare, prima si cerca di riutilizzare, poi di donare a uso umano, in seguito animale, infine di creare compost o massa per altri usi tecnici, come disposto dalla Direttiva 2008/98/CE e dal Regolamento 2014/955/UE emanati dalla Commissione Europea.

La legge spagnola ha introdotto anche una regola che riguarda la ristorazione: se non si termina il proprio piatto, bisogna portarlo a casa, mettendolo in contenitori personali o chiedendo al ristoratore un recipiente riciclabile o compostabile senza costi aggiuntivi.

Barcellona, città virtuosa

Barcellona è il capoluogo della regione Catalogna e da sempre città innovativa ed esemplare, anche in tema di sostenibilità ambientale.

Anch’essa firmataria del Patto di Milano, nel 2021 è stata decretata Capitale Mondiale dell’Alimentazione Sostenibile, ospitando il 7° Forum Mondiale del Milan Urban Food Policy Pact sul tema Crescere la Resilienza: Cibo sostenibile per affrontare l’emergenza climatica.

Parlando con Míriam González Domínguez, del Dipartimento di prevenzione ed efficienza delle risorse dell’Agenzia dei rifiuti della Catalogna, scopro che Barcellona lavora sul tema del consumo sostenibile già da 12 anni, più o meno da quando anche Tristram Stuart, nel suo libro Sprechi. Il cibo che buttiamo, che distruggiamo, che potremmo utilizzare, alzò polemica sul tema.

«Barcellona possiede una Strategia di Alimentazione Sostenibile 2030 (EASB2030), all’interno della quale è inserito anche il discorso del Patto di Milano - mi dice quando la incontro a Barcellona - È una tabella di marcia condivisa per le politiche alimentari della città ed è una strategia cittadina, partecipata e sviluppata da tutti gli agenti del sistema alimentare. La tematica dell’alimentazione sostenibile, legata a quella dello spreco alimentare, sono molto sentite in Catalogna e oltre a questa strategia ci sono moltissimi altri progetti e iniziative».

Tra maggio e giugno 2022 è stata aperta una fase incentrata sul processo partecipativo cittadino, alla quale si può contribuire rispondendo a un questionario, unendosi a tavoli di dibattito pubblico o iscrivendosi a sessioni aperte per approfondire gli obiettivi strategici, identificati nel processo della Strategia di Alimentazione Sostenibile 2030.

«Per me è importantissimo che ci sia sinergia tra gli attori di una stessa società - aggiunge Miriam - Nel 2014, la Piattaforma Aprofitem Els Aliments (“Beneficiamo degli alimenti”) è nata per riunire tantissimi progetti che promuovono una cultura dell’uso del cibo in Catalogna. Oltre a ciò, Barcellona ha un Comité de Profit (“Comitato per la Prevenzione delle perdite e dello spreco alimentare”) formato da soggetti diversi, nato grazie a un progetto europeo chiamato Ecowaste4food. Sebbene il bando sia concluso, il comitato è ancora vivo e contribuisce alla creazione di studi e ricerca sul tema».

Fundacion Espigoladors e es imperfect

La regione Catalogna genera annualmente un totale di sprechi alimentari pari a 262.471 tonnellate, cioè il 7% di ciò che viene acquistato dalla GDO, ristorazione o per il consumo domestico.

«In agricoltura, invece, i dati relativi alle perdite alimentari non sono ancora ben quantificati», mi dice Berta Vidal Monès, ricercatrice e dipendente della Fundación Espigoladors, quando la incontro nel comune del Prat de LLobregat, vicino Barcellona, dove ha sede la fondazione.

«Lavoravo come ricercatrice all’università, ma volevo concretizzare maggiormente la mia ricerca e per questo ho deciso di cercare una realtà che avesse bisogno di una studiosa. Soprattutto, volevo approfondire il tema delle perdite alimentari e il match con Espigoladors è stato perfetto: loro cercavano qualcuno che potesse aiutarli nella parte di ricerca, studio e sensibilizzazione».

La Fundación Espigoladors nasce a Barcellona nel 2014 per limitare le perdite alimentari nei campi, tramite azioni di raccolta delle eccedenze dai produttori e offrire opportunità lavorative a categorie di persone a rischio.

La spigolatura è una pratica antichissima, un tempo era riservata alle donne che, al termine del raccolto, si recavano nei campi coltivati a spigolare il grano, più per fame che per soluzione allo spreco, ma recuperando in ogni caso le eccedenze. In 8 anni hanno messo in piedi una rete di 115 produttori dai quali spigolare e 58 enti benefici a cui donare le eccedenze, raccolte tramite 2000 volontari.

Il loro lavoro è semplice e geniale: prendono contatto con i produttori, che li avvisano quando hanno eccedenze. Attivano, quindi, la rete di volontari in base alla zona di lavoro e il giorno concordato si recano direttamente in campo. Recuperano prodotti lasciati dopo il raccolto, che hanno difetti estetici o provengono da perdite di aziende e produttori e li portano a enti benefici che possono distribuirli ai propri beneficiari, assicurando un pasto sano a persone in situazione di vulnerabilità.

«La prima volta che fui a spigolare, sebbene conoscessi l’entità dello spreco, quantificando quotidianamente su carta, fu comunque impressionante. Anche portarsi a casa un po’ di alimenti recuperati in maniera sostenibile fa un effetto diverso che acquistarli».

«Amo lavorare per Espigoladors perché non ci sono solo parole, ma fatti. C’è un potenziale di sensibilizzazione e informazione enorme, la gente si rende davvero conto che lo spreco alimentare esiste e per quali motivi», mi dice Berta, mentre mi guida verso la realtà sorella di Espigoladors, il cui laboratorio si trova a lato dell’ufficio.

Nel 2018, infatti, è nata Es Imperfect, un’impresa di inserimento lavorativo e trasformazione alimentare grazie alla quale alimenti non distribuiti da Espigoladors e altri acquistati dai produttori, che non riescono a vendere, possono avere seconda vita trasformandosi in conserve, salse, patè e molto altro.

L’azienda è gestita da personale in reinserimento lavorativo, assicurando un modello sostenibile dal punto di vista sociale oltre che ambientale, e coordinato da Marta, la responsabile di laboratorio.

«Ho lavorato tanti anni in una grande azienda come responsabile controllo qualità, ma non mi soddisfaceva perché mancava la dimensione umana. Ho iniziato a fare la volontaria con Espigoladors e proprio in quegli anni Mireia, la fondatrice, stava avviando Es Imperfect, così mi chiese di lavorare con lei. Lasciai il lavoro e iniziai questa avventura», spiega Marta mentre mi apre le porte dell’obrador, la loro officina.

Quel giorno stanno facendo una crema di carciofi che ancora mi immagino sul palato e affettando mele per la compote. «Il laboratorio è piccolo, vogliamo ingrandirci. Stiamo lavorando con 600 punti vendita in tutta la Catalogna per riuscire a vendere di più, abbassando i nostri prezzi e rendendoli più competitivi, in modo da poterci permettere uno spazio più grande e contribuire ancora meglio alla lotta allo spreco».

Mercabarna

La fermata della metro Mercabarna si chiama esattamente come il mercato ortofrutticolo all’ingrosso della città, o mercado mayor.

Più che un ortomercato è un quartiere, con tanto di negozi, bar ristoranti e una farmacia. 90 ettari di vendita all’ingrosso di frutta, ortaggi, fiori e pesce una parte riservata ad attività complementari, che conta di 600 compagnie che danno lavoro a oltre 7500 persone.

Incontro Pau Lopez, Direttore dell’Alimentazione Sostenibile davanti agli uffici centrali, dopo essermi persa tra i grandi padiglioni animati da voci e frutta fresca. Al piano terra c’è la riproduzione in scala della “città mercato”, con tanto di camion e oggetti paesaggistici in miniatura. È lì che Pau inizia a raccontarmi come funziona l’ortomercato, mostrandomi i diversi settori.

«Da trent’anni a Mercabarna si lavora di giorno e non di notte - mi dice sorridendo - Questa decisione è stata presa per favorire la conciliazione di vita privata e lavoro degli operatori. Ovviamente, tutta la città si è adeguata al cambiamento, dato che la grande distribuzione organizzata e la ristorazione acquistano il fresco qui».

Mentre camminiamo all’interno dei padiglioni, tra cui anche il Biomarket più grande d’Europa (che ha uno spazio per sé), Pau mi racconta che nell’ultimo anno hanno migliorato anche il sistema della raccolta differenziata e gestione dei rifiuti.

«Ogni operatore può buttare via fino a 400 kg di frazione organica al giorno in questi cassonetti - dice indicando dei container posti al di fuori di ogni padiglione - Si aprono con una tessera, che non funziona più se giunti al limite. Tutto l’organico viene poi riciclato quotidianamente al Punt Verd (Punto Verde), la ricicleria interna».

Il progetto Foodback

Di fianco al Punt Verd, su un edificio colorato di verde, spicca la scritta Foodback. «Eccoci, qui invece abbiamo il nostro nuovo progetto di gestione delle eccedenze alimentari», spiega Pau.

Foodback è stato lanciato il primo febbraio 2022 come progetto pioniere contro lo spreco alimentare in Spagna, per dare nuova vita alla materia organica fuori dal circuito di commercializzazione. Gli operatori ortofrutticoli possono portare lì le eccedenze non più vendibili, anziché buttarle via, reinserendole in un flusso virtuoso e sostenibile.

Fuori dall’edificio c’è una enorme pesa, ove si fa la prima visualizzazione della merce: se la maggior parte dei prodotti sono considerati utilizzabili, la merce viene portata all’interno dell’edificio per una seconda cernita, fatta da dipendenti in reinserimento lavorativo. Se invece si ritiene che non sia possibile recuperare gli alimenti, gli operatori possono portarli al Punto Verde. Dentro, c’è uno spazio per il triage, uno per stoccare i prodotti e uno dove le organizzazioni benefiche potranno venire a ritirarli.

Foodback è un progetto nato dalla collaborazione tra Mercabarna, Banc Dels Aliments, Caritas, Creu Roja (Croce Rossa) e Alimenta, che si occupano della distribuzione caritativa di alimenti freschi e cucinati; Formaciò i Treballs, organizzazione che opera nel reinserimento lavorativo di categorie fragili, ASSOCOME, l’associazione commercianti di Mercabarna, il comune di Barcellona, la Generalitat de Catalunya e la Fondazione “La Caixa”.

«È un esempio di sinergia tra realtà molto diverse, che hanno dialogato per dar vita a questo ambizioso progetto», chiarisce Pau.

Da maniaca di soluzioni allo spreco alimentare quale sono, veder funzionare progetti così ambiziosi mi dà ispirazione e speranza per il futuro, o forse anche per il presente. Di certo, il tempo e le risorse dedicate a combattere una causa così importante, nel piccolo o nel grande, non sono sprecate.

Lascio Barcellona con un’euforia attribuibile alla voglia di contribuire a un cambiamento in corso e con esempi concreti che mi dimostrano che non può non funzionare.

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