'Elle Decor at work' exhibition at Palazzo Bovara in Milan – 2019
'Elle Decor at work' exhibition at Palazzo Bovara in Milan – 2019 (via: dw-a.it)
Futuro

Nel tuo ufficio la senti, l’alienazione acustica?

C’è una relazione tra chiasso degli open space e produttività deə dipendenti. Ecco perché dovremmo ripensare gli spazi di lavoro in relazione ai rumori. E al silenzio
di Federico De Feo
Tempo di lettura 10 min lettura
13 giugno 2022 Aggiornato alle 09:00

All’inizio del 2020, due mesi prima che il mondo del lavoro fosse travolto dalla pandemia e da “nuove” e conseguenti dinamiche strutturali, la giornalista Anna Wiener nel suo primo libro, La Valle Oscura, mostrava attraverso la sua esperienza diretta fatta nel 2013 gli sviluppi lavorativi e sociali che abitavano all’interno del nuovo sistema aziendale tech della Silicon Valley, interrogandosi anche sugli spazi architettonici e acustici che caratterizzavano perennemente la strutturazione fisica delle start-up della San Francisco Bay Area.

«Non c’era l’obbligo di andare al lavoro, ma per un po’ lo feci comunque. Era un piacere passare il tempo all’HQ, esattamente come sarebbe un piacere ammazzare qualche ora nell’atrio di un albergo. I miei colleghi lo trattavano tanto come un ufficio quanto come un circolo ricreativo. Sembrava che metà degli ingegneri fossero dee-jay, alcuni di loro si esercitavano su una consolle difronte al bar aziendale, rievocando con nostalgia e orgoglio le feste organizzate in ufficio. Malgrado i molti comfort e l’atmosfera da discoteca, raramente l’ufficio era pieno».

Secondo la giornalista Noe Gitell del Guardian, la “tragica” alienazione della vita in ufficio è stata in ogni decade oggetto di analisi cinematografiche e letterarie, soprattutto nei prodotti artistici risalenti agli anni 90 come Fight Club o The Matrix, ma queste concentravano la loro disamina unicamente sul fatto che i suoi protagonisti rifiutassero lo stile di vita legato all’espansione lavorativa nella sfera privata dell’individuo, a favore di un’esistenza più autentica e reale.

Con l’evolversi dello spazio lavorativo circostante, generato anche dalla “rivoluzione” delle company della Silicon Valley, sempre più prodotti culturali come l’opera della Wiener e l’ultimo progetto di AppleTv+, Scissione, si stanno concentrando sull’analisi del disagio lavorativo causato dalla costruzione architettonica degli uffici e conseguentemente dal caos sonoro che permea questi ambienti.

Scissione, creata da Dan Erikson e diretta da Ben Stiller e Aoife McArdel, concentra la propria narrazione sulla Lumon Industries, una misteriosa azienda che richiede ai dipendenti che lavorano su progetti riservati della sezione macrodata di sottoporsi a una procedura di “separazione” che divide a metà la loro coscienza. Dopo aver innestato un chip nel loro cervello, questi raggiungono un equilibrio radicale tra lavoro e vita privata.

Quando sono in orario lavorativo non riescono a ricordare la loro vita quotidiana ma nel momento in cui lasciano l’ufficio, dimenticano del tutto il proprio lavoro. All’inizio, sembra un espediente “originale” per mantenere la segretezza dei dati, poi la serie svela la sua implicazione più orribile: gli “innie” (come sono conosciuti i sé legati al lavoro) in realtà non se ne vanno mai: sono prigionieri del proprio lavoro.

È interessante osservare come già nei primi minuti della narrazione, la regia si concentri sull’analisi della forma architettonica del quartier generale della Lumon che risulta essere suddiviso in due ambienti sonori molto contrastanti tra loro. Lo spazio adibito alla hall e alla biforcazione delle scale che portano ai piani superiori si sviluppa in altezza, favorendo una maggiore diffusione sonora, data da una struttura open space che favorisce la collaborazione tra reparti, mentre il piano seminterrato dove si conforma la sezione adibita alla gestione dei macrodati è uno spazio totalmente asettico e insonorizzato.

La relazione tra due strutture così differenti in un unico spazio architettonico si spiega prendendo in esame una ricerca realizzata nel 2015 dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Stoccolma, con lo scopo di indagare se l’aumento o il peggioramento dell’assorbimento acustico negli uffici open space si riflettesse nella percezione dei rumori, dello stress cognitivo e dell’efficacia lavorativa nei dipendenti.

I dati riportati al termine dello studio (dopo aver effettuato tre variazioni acustiche alternandole di settimana in settimana, all’interno delle stanze dei due piani con degli accorgimenti sui pannelli delle pareti e del controsoffitto) hanno mostrato che il miglioramento acustico della stanza era associato non solo a livelli di rumore più bassi, ma anche alla minore percezione dei disturbi e a un minore stress cognitivo. Di conseguenza, i risultati implicavano che i dipendenti avevano avuto migliori possibilità di prendere decisioni e concentrarsi.

Questo test dimostra come la ripartizione della Lumon Industries cerchi di applicare un controllo acustico in entrambi i settori. Se nell’open space i disturbi stress cognitivi obbligano a una maggiore concentrazione derivata dai rumori circostanti, nel piano dedicato ai macrodati la forma di controllo è già esercitata dalla scissione del dipendente tanto che ogni suono o interazione acustica esterna potrebbe modificarne sensorialmente l’unica realtà per cui è stato progettato, cioè quella lavorativa.

Quindi non è casuale che in Scissione la sua estetica visiva e sonora metta in risalto il perenne scompenso tra struttura architettonica e la sua acustica circostante. L’impatto di suoni o rumori indesiderati è l’elemento probabilmente più studiato quando si parla di ambienti di ufficio ed è stato evidenziato che il rumore causa interruzioni e prestazioni ridotte tra i dipendenti, costituendo anche uno dei motivi più comuni per le lamentele negli ambienti open space.

Uno studio realizzato dagli psicologi Jones, Madden e Miles nel 1992 sull’ipotesi del cambiamento dello stato dimostra che le onde sonore che variano nel tempo tendono a causare più interruzioni, suggerendo che un suono che è costante per intensità o timbro provoca meno disturbi rispetto a suoni che cambiano costantemente le loro caratteristiche (come il parlato o la musica), con un impatto negativo su diversi aspetti (memoria, comprensione della lettura, concentrazione).

In Scissione questo elemento si manifesta attraverso la “music dance experience” offerta ai quattro lavoratori che compongono la sezione macrodati proprio mentre il gruppo è sull’orlo della ribellione.

È una festa da ballo autorizzata di cinque minuti composta da un playlist con un mood musicale comune, capace di calmare i loro animi irrequieti. Con queste note il creatore della serie Dan Erickson vuole catturare perfettamente l’oppressione della moderna vita in ufficio. È persuasivo e terrificante allo stesso tempo. Quando arriva la musica, vuoi ballare, anche se sai che è un trucco per tenerti al tuo posto.

Già nel 2017 un reportage della BBC: “Why open offices are bad for us” metteva in risalto come la scelta di numerose aziende di abbracciare l’open office come struttura perfetta alla collaborazione lavorativa avesse causato il 15% in meno di produttività provocata proprio da difficoltà a concentrarsi e abbia causato il doppio delle probabilità di ammalarsi.

Paradossalmente, questa sorta di dipendenza da un contesto acusticamente invivibile ha fatto si che nel periodo pandemico molti dipendenti abbiano sentito il bisogno di ricreare gli elementi sonori che rappresentavano il proprio ufficio nella propria abitazione

Ed infatti, come riportato dalla rivista del MIT, alcuni tecnici del suono come Stéphane Pigeon (creatore della piattaforma mynoise.net, incentrata nella realizzazione di spazi sonori per la concentrazione o relax) ha visto crescere notevolmente la domanda per la creazione di effetti sonori che riconducesse allo spazio di un ufficio. Dalla sua uscita a marzo del 2020, ci sono stati 250.000 stream di Calm Office, rendendolo così uno dei suoi suoni più popolari su myNoise.

Pigeon è ancora sconcertato dal fatto che gli effetti di Calm Office, come il ronzio del fax e le conversazioni lontane, siano diventati così popolari, tanto da dimostrare quanto effettivamente ne siamo diventati dipendenti, se pur causa di notevoli disagi stress cognitivi.

Per questo il parziale rientro lavorativo ha spinto molte società a ripensare e rinnovare lo spazio adibito all’open-space attraverso la creazione di un’esperienza sonora che potesse accogliere nuovamente i propri dipendenti. Per esempio, la piattaforma Spatial (in collaborazione con Made Music Studio) consente ai propri clienti di scegliere il proprio ambiente sonoro virtuale rispetto allo spazio in cui si trovano, creando differenti realtà a seconda del settore a cui è rivolto il dato ambiente sonoro, come potrebbe essere un hall o uno spazio di coworking.

Ma anche in questo caso la creazione artificiale di uno spazio sonoro piacevole e rilassante non vuole rispondere alle reali esigenze strutturali e sensoriali di come dovrebbe risuonare un ufficio ma è tesa solamente a innalzare le prestazioni lavorative, come dimostrato da una ricerca del 2015 del Rensselaer Polytechnic Institute che dimostra come i suoni naturali possono migliorare la funzione cognitiva e migliorare la capacità di concentrazione.

A conferma di ciò David Rock, neuroscienziato e CEO del NeuroLeadership Institute, interpellato in merito da INC, osserva come i suoni della natura possono calmare il cervello a livello inconscio ma avverte i datori di lavoro, curiosi di testare la nuova tecnologia, dal non rendere i suoni troppo artificiali e consiglia di dare al proprio personale la possibilità di scegliere di partecipare al test: «Sentirsi come se ti fossero state date delle scelte attiva le reti di ricompense, mentre quando ti senti come se ti fossero state tolte delle scelte ti senti come reti di minacce attivate. È un driver primario nel cervello»

Per riprogettare e ripensare realmente nuovi spazi acustici bisogna che «gli architetti inizino a usare le orecchie e lavorare sull’architettura invisibile del suono» come teorizzato da Julian Treasure, autore di Sound Business e presidente di The Sound Agency, company che fornisce consulenza aziendale su come progettare il suono nei loro spazi fisici e nella comunicazione: «Sperimentiamo ogni spazio in cinque sensi, quindi è strano che gli architetti progettino solo per gli occhi. Il suono in uno spazio ci colpisce profondamente. Cambia la nostra frequenza cardiaca, la respirazione, la secrezione ormonale, le onde cerebrali, colpisce le nostre emozioni e la nostra cognizione».

Per Treasure, la chiave è quella di trovare un giusto compromesso tra rumore ambientale e silenzio, denominato suono di mascheramento: «Deve esserci per mascherare quelle conversazioni in modo che tu possa concentrarti sul lavoro senza che questa venga degradata. Troppo di questo rumore è conseguente di un livello di stress maggiore. La maggior parte degli uffici funziona al meglio a circa 50-60 decibel»

«Tuttavia - continua - il rumore grezzo è solo una cosa da analizzare quando stai valutando il tuo spazio di lavoro. Anche l’acustica è molto importante: pochi datori di lavoro e manager saranno a conoscenza della frequenza di riverbero della loro sala riunioni. Se due persone sono lì a parlare, possono diventare frustrate e finire con quello che è noto come l’effetto Lombard (la tendenza involontaria dei parlanti ad aumentare l’intensità della loro voce in presenza di un rumore di fondo che interferisce con la comprensione della voce umana), dove tutto si intensifica. Penso ai centri commerciali, dove c’è un’eco e la gente deve gridare per farsi sentire mentre beve un caffè, anche quando sono seduti uno di fronte all’altro».

Il primo passo è provare ad ascoltare il proprio ufficio e comprendere cosa sta succedendo al suo interno.

La stessa procedura secondo Treasure è applicabile in più spazi che compongono il nostro quotidiano come la superficie urbana (l’OMS ha stimato che un quarto della popolazione europea dorme in città con un alto inquinamento acustico) o le scuole e le università dove gli studenti nelle classi perdono il 50% di ciò che dicono i loro insegnanti.

All’interno di un TED Talk realizzato nel 2013, Treasure presenta anche una nuova forma di spazio sonoro architettonico studiato Richard Mazuch, architetto e designer. L’architettura invisibile, così denominata dallo stesso Mazuch, vuole offrire spazi con un suono tanto piacevole quanto lo è la loro estetica, adatti al proprio scopo e che migliorino la qualità della nostra vita.

Come visto, sempre più prodotti culturali si stanno interrogando su come gli spazi architettonici influenzino il nostro modo di ascoltare e come questo impatti anche sul nostro benessere quotidiano, lavorativo e non, mettendoci difronte al fatto che «Abbiamo bisogno di architetti che inizino a progettare uffici adatti alle orecchie e agli occhi. Dobbiamo davvero iniziare a progettare per tutti i sensi e creare degli spazi che siano veramente adatti allo scopo».

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