Ambiente

Forza New European Bauhaus!

Pensato per creare una dimensione culturale al Green Deal, viene celebrato per la prima volta a Bruxelles. Fino al 12 giugno
Credit: Miguel Sousa/unsplash
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10 giugno 2022 Aggiornato alle 06:30

Dal 9 al 12 giugno apre le porte il primo Festival del New European Bauhaus.

Poco noto ai cittadini italiani, il New European Bauhaus, NEB per chi ama abbreviare, ha lo scopo di creare una dimensione culturale al Green Deal, ovvero il grande piano di transizione ecologica dell’Unione Europea.

Fortemente voluto dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che lo ha definito un “nuovo progetto culturale per l’Europa“, questa rivoluzione culturale fatica a prendere piede.

Inizialmente il meccanismo del New European Bauhaus, come teorizzato dal fisico tedesco, Hans Schellnhuber, doveva servire a sostenere un nuovo modo di fare architettura e costruire città, sfruttando materiali più sostenibili e pensando edifici efficienti, per accelerare la decarbonizzazione di uno dei settori più critici dal punto di vista delle emissioni.

Poi il processo ha preso un respiro più amplio e diventato un pilastro, grazie anche all’interesse di artisti, classe creativa, designer, intellettuali.

Mentre a livello politico Fit For 55, in questi giorni in piena discussione al Parlamento Ue, i finanziamenti e programmi per il NEB faticano a decollare, con l’eccezione del Festival del New European Bauhaus che ha fortunatamente voluto decentralizzare l’evento con una miriade di side event in tutta Europa (ad esempio a Milano, in Triennale, e Genova).

Ciò che manca al NEB è un vero processo di appropriazione e trasformazione del mondo culturale del processo intelligentemente voluto da Bruxelles.

I movimenti culturali infatti non possono essere disegnati a tavolino, ma sono il risultato di forze, idee, persone radicali, antagoniste, che riassumono lo zeitgaist e guardano anche più in là agli orizzonti del mondo capitalista e industriale, anche se green e circular.

Per fare ciò serve aprire tavoli di dialogo innovativi, coinvolgendo soprattutto le giovani leve, anche al di fuori dei confini europei. Servono programmi universitari e tavoli in piccoli centri culturali (e non solo nei grandi tempi dell’intelligentsia).

Lunedì, a Bruxelles, presso la Sala Altiero Spinelli, sarà presentata una ricerca dal titolo “The Green Deal ambition: Technology, creativity and the arts for environmental sustainability”, a cui ho lavorato con la collega Elisabetta Tola, dove emerge chiaramente la richiesta del mondo culturale per un approccio di più amplio respiro che vada oltre l’ambiente costruito, target iniziale del NEB, e includa design, moda, arte, costume, mobilità.

Serve, dicono i tantissimi intervistati, una nuova narrativa di cosa significa essere cittadini europei al tempo del Green Deal, immaginando nuovi stili di vita, nuovi modi di abitare, nuove pratiche di partecipazione, sperimentando anche in maniera dirompente, come ricordano nella ricerca gli artisti/hacktivisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico.

«Dobbiamo pensare alla differenza tra innovazione incrementale e innovazione radicale», dicono Salvatore e Oriana. «Manca una visione speculativa del futuro, mentre [nel NEB] si dà spazio a un approccio soluzionista».

Soluzioni tecnologiche come legno come materiale rinnovabile, i pannelli solari, i processi di economia circolare, i neomateriali biobased, la mobilità a due ruote, certo sono elementi importanti, ma non si fa un New European Bauhaus solo con progetti che per quanto intriganti di fatto sono lunghe liste di soluzioni tecniche. Per quello ci sono già i finanziamenti del NextGenerationEU, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, i bandi di ricerca LIFE, DEAR, Horizon.

Quello che serve davvero è un sostegno al mondo intellettuale e artistico per capire cosa significa comunità sostenibili, ripensare la mobilità condivisa, passare da consumatori/possessori a “utenti/condivisori” secondo i dettami dell’economia circolare più avanza, includere nel paesaggio europeo nuovi elementi culturali. Che non si limitano al definire la pala eolica elemento naturale come il campanile nel paesaggio “tradizionale”; come la moda deve sia ripensare i materiali, ma anche attrezzare e adattare i cittadini al nuovo clima, a nuove modalità di mobilità.

Il New European Bauhaus serve per criticare tipologie di consumo sorpassate, per comprendere come rendere davvero giusta la transizione ecologica, come seppellire vestigia culturali davvero vecchie che continuano a esistere perché in fondo l’élite culturali sono anch’esse vecchie (basta vedere il programma della Triennale di Milano per capire la mancanza di artisti.

Serve innanzitutto un piano di comunicazione a livello nazionale per far conoscere il processo, inesistente su stampa e social nostrani, men che meno su TV o radio.

La Commissione sta pensando a meccanismi di finanziamento attraverso strutture esistenti come EIT, l’Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (che ha già lanciato alcune interessanti challenge sul tema, con finanziamenti fino a 15mila euro).

Servono però bandi meno tecnologici e più di riflessione, come summer school decentrate, workshop che mettano insieme giovani artisti, esperti di sostenibilità, policy maker in maniera originale e ricombinatoria, open call per innovazione culturale.

Un’importante iniezione di risorse economiche nel mondo culturale dal basso, dalle case editrici indipendenti ai collettivi artistici, dalle scuole di design ali studi emergenti e start-up, potrebbe sostenere un settore duramente colpito dalla crisi del Covid19, e che invece è un settore che dovrebbe crescere e svilupparsi sempre di più.

Fornendo strumenti cognitivi, culturali e semiotici per reinterpretare la modernità green nell’era della crisi climatica e della biodiversità. Strumenti educativi e pedagogici per giovani e adulti, importanti tanto quanto le tecnologie della decarbonizzazione.

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