Diritti

Erdogan torna all’attacco

Il presidente turco ha minacciato una nuova offensiva militare contro i curdi siriani. L’obiettivo sarebbe la pulizia «dai terroristi». Forse, però, c’è dell’altro
Una protesta del 2019 a Berlino contro gli attacchi del regime turco nei confronti della popolazione curda in Siria
Una protesta del 2019 a Berlino contro gli attacchi del regime turco nei confronti della popolazione curda in Siria Credit: Sean Smuda/ZUMA Wire
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8 giugno 2022 Aggiornato alle 19:00

Continua ad aumentare la tensione al confine settentrionale della Siria, dove il governo della Turchia ha minacciato una nuova operazione militare nei confronti delle unità curde presenti nel territorio siriano.

In una conferenza del suo partito, il presidente turco Erdogan ha spiegato che «stiamo facendo un ulteriore passo nello stabilire una zona di sicurezza di 30km lungo il confine meridionale. Ripuliremo le città di Tal Rifaat e Manbij dai terroristi».

Lo scopo dell’invasione sarebbe quello di attaccare le zone controllate dalle “Forze Democratiche Siriane” (SDF), un’alleanza di vari gruppi formatasi durante la guerra civile siriana, che comprende al suo interno le forze a maggioranza curda dell’Unità di Protezione Popolare (YPG) e dell’Unità di Protezione delle Donne (YPJ).

Un’alleanza che ha fondato il Rojava, un territorio autonomo costituito durante le lunghe battaglie contro il Califfato islamico dell’ISIS negli anni passati. Il governo turco considera sia l’YPG che l’YPJ come dei “gruppi terroristici” collegati al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), con cui è in guerra dal lontano 1984.

La nuova offensiva militare sarebbe la quarta condotta dal 2016, con l’esercito turco che ha ripetutamente colpito i territori siriani del nord creando successivamente delle zone cuscinetto.

Ma secondo diversi analisti dietro la retorica ufficiale si cela l’opportunismo di Ankara, visto il caos internazionale dettato dall’invasione russa dell’Ucraina: «I turchi vedono un’opportunità per tentare di guadagnare delle concessioni da parte dell’Occidente», ha affermato l’esperto Aaron Stein del “Foreign Policy Research Institute” di Filadelfia.

Le nuove minacce di Erdogan hanno messo in difficoltà gli alleati occidentali, preoccupati da una nuova destabilizzazione in Medio Oriente.

Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha ammonito la Turchia: «Condanniamo ogni escalation. Supportiamo il mantenimento delle attuali linee di cessate il fuoco. Ogni nuova ulteriore offensiva minerebbe la stabilità regionale, mettendo a rischio le forze americane nella campagna della coalizione contro l’ISIS», ha dichiarato.

Una preoccupazione condivisa anche dal comandante delle forze SDF Mazloum Abdi, le cui unità sono tuttora impegnate nella parte nord-est della Siria a combattere le cellule degli estremisti islamici.

Ulteriori attriti potrebbero sorgere con la Russia e il governo siriano di Assad, che conducono pattugliamenti congiunti nelle aree contese dai turchi e rivendicano la piena sovranità siriana secondo i vecchi confini pre-guerra civile.

Negli ultimi giorni il contingente russo ha rafforzato le proprie posizioni mentre, contemporaneamente, le forze siriane e le milizie iraniane hanno aumentato il dislocamento di uomini e mezzi in supporto del Rojava nel nord della Siria.

Il comportamento della Turchia riflette l’ambiguità e la disinvoltura della sua politica estera, dove grazie al suo ruolo nella NATO, ma anche ai buoni rapporti con la Russia, può permettersi di intervenire in più aree, con alleanze e atteggiamenti variabili.

Un comportamento spregiudicato che in diversi teatri di guerra ha comportato numerosi abusi e vittime, spingendo l’ONU a indagare sulle azioni turche e il supporto fornito alle milizie jihadiste nei territori siriani occupati.

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