Diritti

I mille volti di Boris

Dall’infanzia alla sua attività giornalistica, dal Partygate (di cui sta ancora raccogliendo i resti) al recente voto di sfiducia scampato. Il ritratto di un premier pericolosamente in bilico
Una signora protesta, all'esterno del Parlamento inglese, contro le politiche del primo ministro Boris Johnson
Una signora protesta, all'esterno del Parlamento inglese, contro le politiche del primo ministro Boris Johnson Credit: EPA/ANDY RAIN
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
9 giugno 2022 Aggiornato alle 19:00

Boris Johnson ce l’ha fatta di nuovo. Nello scrutinio segreto di lunedì sera il premier inglese ha incassato una vittoria risicata, scampando alla sfiducia di casa Tory col 41% dei voti contrari. A volere le sue dimissioni 148 deputati contro 211 a favore, un risultato che il Guardian ha definito «il peggior verdetto degli ultimi tempi su un primo ministro in carica da parte del suo stesso partito».

Per i suoi alleati è «l’inizio della fine» ma, nonostante la sua leadership risulti incrinata dal caso Partygate – sul quale pende ancora un’inchiesta parlamentare in corso –, Johnson per ora se l’è cavata con una multa recapitata da Scotland Yard.

Il ricevimento alcolico offerto nel giardino di Downing Street e altri frizzanti rinfreschi che lo hanno visto protagonista per stemperare il lockdown, però, sono solo alcuni dei molti episodi collezionati nel corso di una carriera politica temeraria a prova di Brexit.

Fin da bambino, Alexander Boris de Pfeffel Johnson (per la famiglia Al) veniva rimproverato dagli insegnanti per il suo «atteggiamento vergognosamente disinvolto» e sembra non aver mai prestato particolare ascolto a cosa dicessero gli altri. Questo anche perché era semisordo, avendo sofferto fino all’età di 8 anni di otite media effusiva – quella che gli inglesi chiamano glue ear, “colla nell’orecchio”.

La madre giovanissima incoraggia in lui la vena eccentrica d’artista; il padre donnaiolo lo sprona alla competizione. Preso di mira dai compagni per le sue origini turche, Johnson si fa scudo di una personalità estroversa e decide che, da quel momento in poi, sarebbe stato soltanto “Boris”. Gli ingredienti ci sono tutti: la frittata è fatta e presto l’avrebbe assaggiata tutto il popolo di Albione.

Dopo un diploma a Oxford e le nozze con la prima moglie Allegra Mostyn-Owen, Johnson inizia a lavorare come giornalista. Una citazione inventata di sana pianta gli fa guadagnare la porta del Times dove era entrato per svolgere il praticantato. Quindi inizia a fare il corrispondente euroscettico da Bruxelles per il Daily Telegraph di cui, tornato a Londra, diventerà vicedirettore.

Redattore per The Spectator, si sposa con la seconda moglie Marina Claire Wheeler e inizia a frequentare i salotti televisivi della Bbc, che gli valgono una candidatura ai premi Bafta nella categoria Best Entertainment Performance.

Il suo ingresso in politica è alle porte: nel 2001 approda in Parlamento e 7 anni più tardi viene eletto sindaco di Londra. Nel corso di due mandati si schiera prima a sinistra (con posizioni ecologiste, pro-immigrazione e anti-Trump) poi di nuovo a destra a fianco dei conservatori.

Un’ambiguità che viene confermata dal referendum sulla Brexit del 2016, sul quale scriverà due articoli contradditori a favore di entrambe le posizioni. Abbracciare il fronte del “leave”, tuttavia, gli sembra il modo migliore per estromettere il rivale David Cameron.

Ministro degli Esteri durante l’esecutivo di Theresa May, nel 2019 si insedia da padrone di casa al numero 10 di Downing Street. Un exploit preceduto dalla fama delle sue gaffe.

Tra le più celebri ricordiamo quando nel 2005 disse che votare i Tory «farà diventare più grosse le tette di vostra moglie e aumenterà le vostre chance di possedere una Bmw M3», o ancora quando nel 2015 dichiarò che il premier turco Erdogan «fa sesso con le capre».

Scivoloni che si limitano a scompigliare la compagine governativa come il suo ciuffo biondo, senza tuttavia farlo cadere. Ultimo quello sulla guerra in Ucraina quando, dopo aver definito Putin «un pusher che alimenta la dipendenza dei Paesi occidentali dagli idrocarburi», ha accostato la Brexit alla guerra affermando che «l’istinto del nostro popolo, come quello ucraino, è scegliere la libertà».

Un volo retorico degno di quello memorabile eseguito sulla teleferica nell’agosto 2012 per sostenere i Giochi Olimpici di Londra, che lo vide fermarsi a mezz’aria per restare sospeso nell’immaginario collettivo. È la fotografia che meglio di altre descrive la sua attuale condizione, in bilico su un’asse politico sempre più esile e incerto.

«Il primo ministro è impegnato in una lotta per la sopravvivenza», ha scritto sul Guardian Katy Balls. Dopo aver strappato la vittoria per un soffio col voto di lunedì, ora «Johnson deve dimostrare di essere utile al suo gruppo», ha concluso.

Nella prima riunione di gabinetto all’indomani del voto, il premier ha affermato che ora sarà possibile «tracciare una linea» e tornare a concentrarsi sulle questioni urgenti per il Paese, come ridurre la spesa pubblica e tagliare le tasse a favore di imprese e cittadini.

Leggi anche
Diritti
di Redazione 3 min lettura
Occupazione
di Caterina Tarquini 3 min lettura