Futuro

Perché dobbiamo ripensare il turismo

Pandemie e crisi renderanno sempre più complicato spostarsi. E ci spingeranno a modificare la nostra concezione di “viaggio”

Siamo entrati in un’epoca caratterizzata da una crescente mobilità ridotta.

La causa non sono solo le potenziali ulteriori pandemie che si svilupperanno nel futuro, visto che i motivi che le hanno generate non si sono ridotte.

Molti altri fattori renderanno – e già oggi rendono – la mobilità sempre più difficile.

Pensiamo alle improvvise variazioni climatiche, al fatto che l’instabilità sociale – come pure, e lo abbiamo giù visto, il terrorismo – scelgono come punto di attacco i sistemi di mobilità. E poi le trasformazioni geopolitiche – con l’aumento di sovranismi e blocchi ideologici e la deglobalizzazione del commercio. Non ultime le guerre di vari a intensità e la incipiente crisi energetica globale.

A tutto ciò si unisce la sempre maggiore diffusione del digitale che, già in tempi non sospetti, si era posto anche come alternativa allo spostamento di merci e persone e che il fenomeno dello smart work forzato dai lockdown ha dimostrato – con le sue luci ma anche con le sue ombre – quanto effettivamente il digitale possa in qualche modo porsi come alternativa a certe forme di mobilità e quanto sia, esso stesso, un ambiente di lavoro, di osservazione, di intrattenimento in grado di trasformare pratiche, consuetudini e sensibilità.

Viene allora spontaneo domandarsi se il turismo a cui eravamo abituati possa tenere in questo contesto in così forte trasformazione. Io credo che – nel medio termine – il turismo cambierà; in particolare ritengo che la crescente difficoltà di spostamento richiederà motivi più forti per farlo; motivi che vadano oltre il semplice passatempo e intrattenimento.

Credo inoltre che il digitale diventerà sempre di più anche il complemento dell’esperienza di viaggio; sia nella sua preparazione e nell’arricchimento informativo della visita (ad esempio nella ricostruzione digitale dei resti archeologici) sia nella sua parziale sostituzione grazie alla crescente quantità di materiale video e fotografico di qualità disponibile sia nella crescente realizzazione di “viste” che neanche in presenza potremmo ottenere. Pensiamo, una per tutte, alle foto da drone delle piazze, dei castelli, dei giardini all’italiana.

In periodi di crisi il passato (ci) può ispirare

Come sempre nei momenti di crisi – sempre forieri di ripensamenti e innovazione – può essere opportuno rileggere, in modo ovviamente non nostalgico ma creativo, anche il passato. Il nostro Paese infatti – e per ben due volte – è stato il leader mondiale incontrastato del turismo: prima con i viaggi religiosi che avevano come meta Roma, i Sacri Monti di Lombardia e Piemonte (oggi patrimonio Unesco) ma anche i molti altri luoghi sacri che contribuiscono a definire il paesaggio italiano; e poi con il Gran Tour.

Questa rilettura ci ricorda la natura autentica del turismo e soprattutto ci consente di comprendere – con gli occhi di chi l’ha visitata e studiata per lungo tempo – i veri punti di forza dell’Italia.

In particolare la storia del Grand Tour ha molto da dirci a questo proposito. Il turismo che proponeva aveva come fine non intrattenere, far passare del tempo, ma – grazie alla visita di luoghi di grande ispirazione e in compagnia di maieuti – perfezionare la crescita di competenze e carattere, e indagare la propria conoscenza interiore.

Un percorso formativo, dunque, anzi trasformativo che cercava ispirazione e concentrazione e creava legame con luoghi e persone.

Bildungsreise lo definivano i Tedeschi; e l’Italia era la location ideale. “Tourismo” potremmo dire, per ricollegare il turismo alla sua fonte originaria.

Le 3 P del turismo trasformativo

Quali erano gli ingredienti di questo potente percorso trasformativo che educava la classe dirigente e intellettuale europea di quei tempi?

Tre nello specifico:

• dei posti suggestivi da visitare e abitare per avere stimoli e ispirazione;

• delle persone da incontrare e testimonianze da ascoltare per creare legami con l’ispirarsi e il fare italiano;

• un percorso formativo che non si limitasse a completare le competenze ma che desse senso e moltiplicasse il valore e l’ispirazione dei luoghi visitati e delle persone incontrate.

Analizzando i posti – gli attrattori diremmo oggi – che i “grand touristi” visitavano e che poi descrivevano nei quadri o nei resoconti di viaggio risulta evidente che non erano solo i landmark culturali o “turistici” (spiagge, montagne, etc …).

Quello che li colpiva e li attraeva era soprattutto il dialogo incessante fra natura e cultura, dialogo che si manifestava non solo nei grandi giardini all’italiana, nei paesaggi montani o lacustri o nell’arte delle fontane ma anche e soprattutto nelle campagne, dove la natura spesso si riprendeva gli spazi costruiti e dove si poteva rincontrare il creato nella sua forma arcadica e primigenia.

Non per niente il selfie considerato l’emblema del Grand Tourrealizzato da Johann Heinrich Wilhelm Tischbein per conto di Goethe – raffigura il grande scrittore non davanti a un’opera d’arte ma immerso nella Campagna Romana. Questo dialogo rendeva suggestivi anche i siti archeologici e le architetture religiose – soprattutto i monasteri, le chiese eremitiche, i romitori – sempre incastonati in luoghi incontaminati.

Un Gran Tour del made in Italy

È dunque venuto il momento di rilanciare – attualizzandolo e collegandolo maggiormente con il racconto del Italia – il viaggio trasformativo che punta a fornire in modo sistematico ai partecipanti sia l’ispirazione che la creatività e soprattutto a creare legami duraturi (emotivi e di business) con i luoghi visitati e le persone incontrate.

In particolare vi sono due classi di (nuovi) landmarks che vanno valorizzati e connessi (in un percorso di scoperta e apprendimento): i luoghi dell’ispirazione e i luoghi della creatività.

Molti aspetti dei tradizionali luoghi di lavoro italiani – architettura rurale, botteghe artigiane, negozi storici e piazze del commercio – ritornano di grande attualità (anche operativa e non solo ispirativa) in un’epoca dove l’economia circolare, la crisi energetica e il bisogno di rifondare comunità e identità dei centri abitati. Il fascino e successo di Matera e dei suoi Sassi – a esempio – nasce dal suo essere rimasta a “km 0” e poco energivora grazie al mantenimento di tecniche antiche.

Inoltre il dialogo natura-cultura che genera e caratterizza il paesaggio (con le sue viste, i “belvedere”, che diventano nei fatti i suoi landmark) diventa sia ispirativo che creativo unendo in un unicum i due atti del fare e del pensare

Tre attivatori del pensiero creativo

Vi sono poi tre aspetti tipici dell’Italia che diventano stimoli potenti per la creatività.

Innanzitutto l’amalgama di stili e culture: parola chiave alla base del fare italiano e anche fondamento per il rispetto dell’altro e della diversità. Amalgama fra stili – per creare una versione italiana innovativa e unica – e amalgama tra opere e territorio – ospitando e conservando sul nostro suolo opere provenienti da culture non autoctone.

Nel primo caso ci sono i fondamenti della storia dell’arte e dell’architettura italiana: oltre alla cultura e stile autoctono – a esempio l’arte etrusca, l’architettura romana, il romanico italiano, il rinascimento o il barocco – le influenze puniche, greche, persiane, arabe, bizantine e longobarde, ma anche la commistione di stili autoctoni ma appartenenti a differenti periodi, a esempio il materiale di riporto romano nelle chiese alto-medioevali o le tracce medievali nell’architettura rinascimentale. Tutti input assimilati e ricontestualizzati in nuovi artefatti.

Nel secondo caso basta pensare per esempio alle necropoli puniche in Sardegna, ai templi greci in Sicilia o nella Magna Grecia o al fatto che Roma possiede più obelischi egiziani rispetto allo stesso Egitto. Il rispetto per le altre culture è dunque concretamente visibile nel nostro Paese grazie alla volontà di conservazione che ha fatte giungere fino ai nostri giorni alcune di queste opere. Per questi motivi se vogliamo vedere le tracce di queste culture è più facile che ciò accada in Italia.

E come noto l’amalgama, l’ibridazione è una delle più importanti componenti formative, tecniche e creative. E poterla vedere in azione dal vivo è dunque una straordinaria occasione istruttiva.

In secondo luogo la convivenza degli opposti /contrasti – che nel nostro Paese è rappresentato in forma somma – e che tanto attraeva i Grand Tourist per il suo implicito potenziale educativo. Pensiamo alla spiritualità della sede della Chiesa cattolica e al “libertinaggio” della vita veneziana, al lusso sfrenato di Firenze e alla povertà dei vicoli napoletani, alla compresenza in Sicilia di monumenti sia normanni (cultura del Nord) che arabi (cultura del Sud) oppure alla convivenza dell’arte romana (occidente) con i numerosi capolavori bizantini (oriente): da San Marco a Venezia, passando per il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna e per Santa Prassede a Roma fino alla cappella Palatina di Palermo.

E poi la presenza dell’incompiuto, che noi consideriamo il prodotto di incuria, incapacità progettuale e corruzione. In buona parte è ovviamente vero. Ma lo stesso incompiuto può sublimarsi in arte; pensiamo a esempio al Parco dell’incompiuto siciliano a Giarre, in provincia di Catania.

Il progetto ha mappato a oggi 360 incompiuti italiani, considerati esempi dello stile “non finito italiano”: delle “rovine nate rovine” che richiamano i resti archeologici (uno per tutti il Parco degli acquedotti di Roma) diventando una sorta di anticipazione del ciclo di nascita e morte del manufatto umano.

Infine, l’incompiuto può diventare addirittura capace di svelare i segreti del processo creativo. a esempio, Michelangelo ci ha lasciato molti incompiuti (come i cosiddetti “prigioni”).

Il loro fascino è legato al fatto che diventano una sorta di svelamento dello stesso processo creativo dell’artista. La pietà Rondanini, sempre di Michelangelo, è diventata uno dei principali attrattori del turismo giapponese in quanto è un autentico “testamento e meditazione del vecchio artista sulla morte e la salvezza dell’anima”.

… Per saperne di più

Il libro Roma e il nuovo grand tour. Ripensare il turismo nell’era del digitale e della pandemia (Luca Sossella Editore), appena pubblicato insieme a Rita Batosti, affronta i temi appena introdotti e riflette sull’opportunità e le modalità di lanciare un (nuovo) Grand Tour del Made in Italy.

Un percorso formativo – che spesso diventa semi-stanziale – alla ricerca dei luoghi e delle forme in cui l’iniziativa economica si è fatta architettura e spazio di lavoro: non solo l’architettura rurale, ma anche fabbriche, borghi industriali, botteghe artigiane, piazze del commercio, antichi negozi, fino ai musei d’impresa, che organizzano in modo sistematico e narrativo le fonti ispirative e la storia delle persone e le aziende che hanno creato il successo del Made in Italy.

Per dare maggiore concretezza a questa riflessione è disponibile sul sito dell’editore una galleria di immagini che restituisce una vista alternativa – ma non per questo meno bella e suggestiva – del nostro Paese.

Sei sezioni, sei modi di leggere i giacimenti del Made in Italy e il loro incredibile e talvolta sconosciuto patrimonio formativo e ispirativo che si discostano – o meglio integrano – i tradizionali landmark del turismo culturale o di puro intrattenimento.

Luoghi, storie e persone che contribuiscono – come fu nel Grand Tour sei-settecentesco – al completamento del nostro carattere, a una migliore conoscenza di noi stessi e al rafforzamento delle nostre capacità creative e progettuali.

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