Diritti

Se la Danimarca respinge i profughi siriani

Il “doppio standard” sui rifugiati nel Paese sta mettendo a rischio migliaia di richiedenti asilo. La denuncia di Amnesty
Dal documentario "Sending Aya Back: the Syrian teen facing deportation in Denmark"
Dal documentario "Sending Aya Back: the Syrian teen facing deportation in Denmark"
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1 giugno 2022 Aggiornato alle 16:00

Da quando a fine di febbraio è iniziata l’invasione russa, il governo della Danimarca ha aperto i propri confini ai rifugiati ucraini chiedendo alle 98 municipalità danesi di verificare le proprie capacità di accoglienza. Un comportamento decisamente diverso rispetto alle politiche adottate negli ultimi anni, che hanno visto il duro perseguimento della dottrina “zero richiedenti asilo”, soprattutto nei confronti dei rifugiati provenienti dalla Siria o altre località extra-europee.

A partire dal 2015, in seguito alla crisi migratoria che ha investito l’Europa, la nazione danese ha progressivamente chiuso i propri confini ai rifugiati adottando qualsiasi politica pur di scoraggiare i flussi, compresa la legge che permette di sequestrare i beni e i gioielli dei rifugiati per ripagare i servizi di accoglienza. Inoltre la Danimarca è l’unica nazione che ha revocato più volte i permessi di protezione, essendo non vincolata alla Direttiva sulla Protezione Temporanea dell’Unione Europea.

Queste politiche hanno compromesso seriamente la vita di migliaia di richiedenti asilo provenienti dalla Siria che si sono trovati, dopo anni di permanenza provvisoria, in balia della burocrazia danese, con il concreto rischio di tornare nel Paese di origine dove la guerra civile è tuttora in corso.

Una situazione denunciata dalla sezione danese di Amnesty International, dove la responsabile Lisa Blinkenberg ha affermato che «nel 2015 abbiamo osservato una modifica legislativa dove il permesso di residenza per i rifugiati può essere revocato in base ai cambiamenti nella nazione di provenienza, ma non necessariamente questi cambiamenti devono essere fondamentali. Allora dal 2019 il Servizio per l’immigrazione danese ha deciso che la violenza a Damasco è finita e i siriani possono tornare a casa».

Decisioni simili non hanno coinvolto solo i siriani, ma anche i recenti rifugiati provenienti dall’Afghanistan, tornato sotto il controllo dei Talebani nell’agosto del 2021. L’ex interprete della NATO e della forze USA, Bashir Ahmad Khalil, si è pentito amaramente di aver fatto domanda in Danimarca, scoprendo che lui, sua moglie e i suoi cinque figli, rischiano seriamente di essere rimandati nel Paese afghano: «Ho pensato che andando in Danimarca ci avrebbero dato la residenza permanente. Quando siamo arrivati qua, due settimane dopo ci hanno detto della legge in vigore e mi sono pentito della decisione, invece di scegliere di andare negli Stati Uniti».

Nonostante le continue polemiche e il doppio-standard riservato ai nuovi rifugiati ucraini, il governo danese non sembra intenzionato a fare marcia indietro.

Negli ultimi mesi, sulla scia delle iniziative inglesi, la Danimarca ha iniziato una serie di colloqui con il Ruanda per stabilire accordi volti a esternalizzare nel Paese africano le procedure di verifica delle richieste d’asilo, spostando i rifugiati a migliaia di km di distanza dall’Europa. Una mossa criticata severamente dalle ONG a causa della mancanza del rispetto dei diritti umani in Ruanda.

Indifferente alle critiche emerse, il ministro dell’Integrazione Mattias Tesfaye ha dichiarato di sperare che “che nel prossimo futuro molte nazioni europee supportino la politica contro i flussi migratori irregolari, tramite accordi con Paesi al di fuori dell’Europa”. Una conferma del perseguimento delle dure politiche su i rifugiati, a qualsiasi costo.

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