Ambiente

Cingolani “vuole” il nucleare di quarta generazione

Intervenuto al 5° Innovation Summit di Deloitte, il ministro della Transizione Ecologica ha spiegato che l’obiettivo è arrivare alla “fusione nucleare entro i prossimi 18 anni”
Credit: NGSOFT IT/pexels
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
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1 giugno 2022 Aggiornato alle 11:00

Per realizzare un’autentica transizione energetica, c’è bisogno di pragmatismo. E di grandi investimenti tecnologici, in settori come la chimica di trasformazione, gli accumulatori al litio. E il nucleare di quarta generazione. A dirlo è stato Roberto Cingolani, intervenuto al 5° Innovation Summit di Deloitte, evento focalizzato sugli impatti dell’innovazione su economia e società.

È il momento di innovare, dobbiamo fare un investimento sul futuro, ha sottolineato il vertice del MiTe. «Abbiamo fatto un vaccino anti-Covid in 18 mesi, anche se ci dicevano che sarebbero serviti 10 anni. La vera sfida di oggi sarà arrivare alla fusione nucleare entro i prossimi 18 anni. Se tanto mi dà tanto, questa sarà la meta più importante per tutta l’umanità».

Se la Germania ha manifestato la sua opposizione all’inclusione del nucleare nella tassonomia verde dell’Unione europea perché considerato “non sostenibile” – posizione condivisa da molti commissari europei, come il vicepresidente della Commissione con delega al Green Deal, Frans Timmermans -, Cingolani considera il problema “nostrano”, con questa fonte di energia, precipuamente ideologico.

D’altra parte, il vertice del MiTe ha spiegato che il nucleare produce, rispetto agli altri sistemi energetici, meno gas serra di tutti.

Ma dopo due referendum contrati (nel 1987 e nel 2011), questa possibilità energetica torna ciclicamente a far parlare di sé. «Se ci pensiamo, a oggi 14 Paesi europei dispongono del nucleare».

Tuttavia, e Cingolani ha tenuto spiegarlo in diverse occasioni, l’interesse della Penisola non sarebbe quello di guardare agli impianti, come quelli francesi, di seconda generazione. Quanto, piuttosto, ai mini-reattori modulari (small modular reactors, SMR), tecnologia nucleare di quarta generazione, che producono scorie in quantità minime.

Si tratta di piccoli reattori (che non superano i 300 megawatt di potenza) costituiti da cilindri, che contengono il nocciolo con il combustibile e il generatore di vapore, prodotto dal calore generato dal nocciolo. Il vapore prodotto aziona una turbina esterna e un alternatore, che produce energia. Una volta raffreddata, l’acqua rientra nel mini-reattore e il ciclo ricomincia.

Dalla Cina alla Gran Bretagna, oggi in tutto il mondo sono circa una ventina i progetti di SMR in fase di realizzazione. Sono diverse le potenzialità delle centrali costituite da questo tipo di reattore: occupano il 10% dello spazio rispetto a una centrale tradizionale, dunque ha impatti ambientali ed economici inferiori.

Inoltre, i mini-reattori vengono alimentati con combustibili non convenzionali che durano a lungo, riducendo il numero di scorie prodotte. A differenza delle centrali tradizionali, che richiedono un rifornimento ogni 1-2 anni, quelle realizzate con i mini-reattori necessitano di essere alimentare ogni 3-7 anni.

«Sono simili ai motori dei rompighiaccio sulle banchine artiche, una tecnologia che c’è già e che funziona. Ma è chiaro che in futuro bisogna arrivare alla fusione», ha sottolineato Cingolani in un’intervista a La Stampa. Un progetto a cui si guarda da tanti, troppi anni. E a cui, secondo Cingolani, non si è arrivati a una conclusone per la mancanza di un serio investimento.

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