Ambiente

Con i pannelli solari in Afghanistan si produce l’oppio

Ad aprile la coltivazione del papavero è stata formalmente bandita, ma il Paese continua ad arricchirsene anche grazie all’efficienza garantita dai pannelli solari
Credit: Sanaullah Seiam/Xinhua
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
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31 maggio 2022 Aggiornato alle 16:30

«Tutti gli afgani sono informati che d’ora in poi la coltivazione dei papaveri è stata severamente vietata in tutto il Paese. Se qualcuno viola il decreto, il raccolto sarà immediatamente distrutto e il trasgressore sarà trattato secondo la legge della Sharia».

Con queste parole, il 3 aprile il leader supremo dei talebani Hibatullah Akhundzada ha bandito la produzione di oppio dall’Afghanistan. Diverse fonti, tuttavia, confermano come questo non abbia fatto altro che aumentare il valore della sostanza stupefacente e favorirne il contrabbando.

«Penso che l’abbiano vietato a proprio vantaggio perché la maggior parte dei contrabbandieri e dei comandanti talebani hanno tonnellate di oppio e potrebbero voler aumentare i prezzi» ha commentato Shah Agha, un coltivatore di 35 anni che lavora nel distretto di Zhari a Kandahar.

A favorire la coltivazione del papavero da oppio, secondo il New York Times, ci sarebbe anche il contributo offerto dalla transizione energetica.

Le pompe d’acqua alimentate dai pannelli solari, infatti, hanno sostituito il diesel in modo più efficiente e meno dispendioso, garantendo un maggior grado di perforazione delle falde acquifere del deserto necessarie a irrigare il raccolto.

Una ricerca condotta dal think tank Afghanistan Research and Evaluation Unit rivela che dal 2014 al 2018 il numero di bacini idrici alimentati a energia solare è raddoppiato di anno in anno dal 2014 al 2018, e nel 2019 si contavano oltre 67.000 pozzi concentrati in un’area di 900 chilometri quadrati rispetto ai 14.000 del 2016.

Un fattore che ha contribuito al massiccio ripopolamento di alcune aree desertiche, ma sembra destinato a durare poco. «Le conseguenze ambientali dell’adozione della tecnologia a energia solare sono drammatiche – afferma lo studio -. Senza meccanismi evidenti per prevenire lo sfruttamento insostenibile della terra e dell’acqua in questo ambiente sempre più fragile, è solo questione di tempo prima che quest’area torni nuovamente al deserto».

Il 13 maggio, intanto, il governatore della provincia di Helmand, Maulave Talib Akhund, ha ordinato alla polizia di confiscare le pompe e i pannelli solari per combattere la produzione di oppio. «Non dobbiamo distruggere i campi», ha dichiarato, «lasciamo che si inardiscano».

Dal 2015 al 2020, rivela un rapporto stilato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, all’Afghanistan si deve l’83% dell’oppio prodotto nel mondo. Nel 2020 alla coltivazione di papavero da oppio erano destinati 224.000 ettari di terreno, e nel 2021 la produzione ha raggiunto le 6.800 tonnellate, con una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente.

Un asset strategico per il Paese. Nel 2021 il commercio di oppio ha generato un valore compreso tra 1,8 e 2,7 miliardi di dollari, con entrate che hanno rappresentato tra il 9% e il 14% del Pil dell’Afghanistan.

Per questo l’esportazione dell’oppio risulta decisiva in un Paese dall’economia sempre più indebolita dalle sanzioni imposte dall’Occidente dopo il ritiro delle truppe statunitensi nell’agosto 2021 e la presa del potere da parte dei talebani.

Oggi 23 milioni di afghani soffrono la fame acuta. I dati forniti dalle Nazioni Unite riportano che il 95% degli afgani non mangia abbastanza, una quota che rasenta il 100% nei nuclei familiari con capofamiglia donna.

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