Ambiente

È nato prima l’uomo o il cinghiale?

L’invasione degli ungulati a Roma risale agli anni ‘50, quando furono immessi nei boschi a scopo di caccia. Poi conta la spazzatura per le strade, certo. E se li ingaggiassimo come spazzini?
La manifestazione ''Peste suina #bastacinghiali'' della Coldiretti a Roma, il 27 maggio.
La manifestazione ''Peste suina #bastacinghiali'' della Coldiretti a Roma, il 27 maggio. Credit: ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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30 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

In una delle isole Galapagos, le meraviglie naturali al largo delle coste dell’Ecuador che ispirarono Charles Darwin nell’elaborazione della teoria dell’evoluzione, vivono delle capre. Non è normale. Vi furono portate secoli fa, tendono a riprodursi troppo, non hanno nulla a che fare con quel luogo e ne minacciano l’equilibrio. Con una certa brutalità si è deciso di procedere in questo modo: si cattura una capra, le si mette un collare col GPS e poi la si libera; si aspettano un paio di settimane, poi si raggiunge il segnale con elicotteri e fucili, sapendo che sono animali gregari e che quindi sarà facile trovarne un gruppo piuttosto folto; le si abbattono, lasciando viva solo la capra col collare (detta, non a caso, Judas Goat). Dopo due settimane circa si ricomincia.

Nella contrapposizione italiana tra chi vorrebbe procedere all’abbattimento dei cinghiali e gli animalisti che difendono questi antenati del maiale si impone un dubbio: ridurre la popolazione degli ungulati che assediano alcuni quartieri di Roma (e non solo) uccidendoli equivale al ripristino di un ordine preesistente o è il brutale sterminio di una specie che è parte della biosfera? L’enorme espansione della bestia sarebbe stata possibile senza il nostro intervento? È nato prima l’uomo o il cinghiale?

Nella Capitale ti risponderanno: se lasci l’immondizia per terra è facile che il suide, con il suo seguito di adorabili cuccioli striati, venga a grufolare nei pressi del cassonetto, terrorizzando la popolazione locale specie dell’area di Roma Nord. E spaventando ora anche i proprietari degli allevamenti di maiali, visti i casi di peste suina identificati tra la Città eterna, la Liguria e il Piemonte.

Ma la relazione tra invasione suina e esseri umani è molto più stretta: molte delle bestie che si vedono in giro sono discendenti di quelle che furono massicciamente immesse nei boschi negli anni ’50 a scopo di caccia, la loro popolazione è aumentata di pari passo con l’espansione dei boschi e l’abbandono dei terreni agricoli, mentre gioca il suo ruolo anche il cambiamento climatico, che rende qualsiasi periodo dell’anno potenzialmente favorevole per la riproduzione di una specie che già di suo non si fa pregare per fare figli.

Nessuno sa quanti siano, ovviamente, ma alcune stime parlano di 3 milioni di esemplari (and counting), che mettono a rischio le colture e gli allevamenti, spaventano i cani, inseguono gli umani, provocano incidenti stradali. Gli abbattimenti non sono facili come quelli di una popolazione di capre su un’isola brulla e senza alberi, la sterilizzazione è un processo difficile e dalla durata incerta, il suo predatore naturale è il lupo che - per quanto anche lui in espansione - riesce a malapena a rendere più forte la specie, uccidendo e mangiando gli esemplari più deboli.

Si può contenere con recinzioni, limitare l’attrattività del territorio umano pulendo le strade e svuotando i cassonetti, ma è lecito immaginare una convivenza, persino un impiego: cinghiali assunti per ripulire le strade, per bonificare discariche, per dissodare i terreni dei parchi romani, cinghiali pagati per fare il lavoro di quel termovalorizzatore che il sindaco della Capitale vorrebbe costruire e che già registra una consistente opposizione.

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