Futuro

Io Vacchi, e tu?

La serie Mucho Màs sul miliardario bolognese è un mischione incoerente con una sola certezza: farci vedere che il mondo è diviso tra chi può, e chi può solo stare a guardare

Promette di spiegare i segreti di Gianluca Vacchi, cioè il motivo – ignaro ai più, anzi a tutti – con il quale l’imprenditore-dj-influencer ha raggiunto il suo immenso patrimonio. Tutto questo in modo che chi guarda non giudichi ma finisca per guardare l’uomo con occhi pieni di ammirazione. Così comincia il documentario prodotto da Prime Video Gianluca Vacchi “Mucho Màs”, che si apre, ironia della sorte - viste le notizie sulla causa intentata da una domestica proprio verso Vacchi per sfruttamento e un clima di terrore - con una panoramica dei vari inservienti che svolgono varie mansioni in una delle dimore dell’uomo che ha come slogan di vita “Enjoy”.

Proprio a loro nella scena iniziale Vacchi insegna a fare il suo noto balletto, il suo contenuto caratterizzante, quello per cui viene considerato uomo di talento, su Tik Tok. L’effetto su chi vede è quello del padrone di casa che però ha anche dell’ironia e che coinvolge allegramente le persone che puliscono casa e tagliano il prato, come in una grande famiglia.

Il tripudio di lacrime e commozione

Ma il documentario non va per niente nella direzione che tutti vorrebbero e cioè capire in fondo come l’uomo-della-fuffa sia diventato ultra-ricco, oltre a fare dell’ostentazione della ricchezza la sua chiave morale, perché per lui equivale a dimostrare di essere un “uomo libero”. Invece il racconto si infila subito nella zuccherosa storia sentimentale di Vacchi con Sharon, che sembra sua figlia e lo guarda con occhi rapiti e insicuri raccontandolo come un uomo di eccezionale eticità (“Mia figlia da lui ha preso la sua forza”, dice), mentre lui rivendica di essersi comportato con lei come un vero uomo (e già si intuisce che, nonostante i privilegi e la vita di lusso, gli anni futuri non saranno facili).

Si arriva infine al tripudio reciproco di lacrime quando Sharon è in attesa della figlia Blu, con la pacchianata del gender reveal ormai una moda dei ricchi – fatto con un elicottero che lancia una scia rosa. Vacchi le ha già intestato una villa ultramilionaria a Miami perché lì la piccola studierà, prendendo il passaporto americano, il classico, ormai un po’ logoro, “must have” dei ricchi.

Lo stoicismo di chi lotta contro l’invecchiamento

Il vero dramma, invece, è che Vacchi è ossessionato dalla vecchiaia. Questo è noto, nel documentario rivela come lui si alzi la mattina alle sei per andare a dormire due ore dentro la bara dell’ozonoterapia e poi fare quattro minuti di crioterapia, oltre a infilare la testa dentro una lavandino pieno di ghiaccio che qualcuno alzatosi precocemente ovviamente gli prepara. Di più. Ogni anno fa una prova anti-invecchiamento, facendo una sorta di rovesciata sul bordo dello yacht e dimostrando che “anche quest’anno ho sconfitto l’invecchiamento”.

Ovviamente ci rifila la storia della differenza tra età anagrafica e età biologica, e in realtà la domanda che viene a chi guarda è perché dimostri in verità una decina di anni in più di quelli che ha nonostante gli sforzi. Comunque lui soffre e anche quando compra case da 1.300 metri quadri con piscina incastonate all’interno di paradisi naturali gli esce la lacrima pensando che sì, sarà di Blu tutto quello, ma lui sarà morto e questo non gli va proprio giù.

Sul patrimonio la serie nicchia

È passata oltre mezz’ora e chi guarda ancora non ha capito come ha fatto i soldi, ma niente, Prime decide che prima deve raccontarci la storia di tutti i suoi tornei sciistici da bambino, con tanto di foto d’epoca. Il racconto si sbrodola ulteriormente ancora con la sciata con Ghedina, mentre lo spettatore ormai ha rinunciato a capire la questione del patrimonio “cento volte quello di mio padre”.

Alla fine una sorta di spiegazione arriva: lui è azionista dell’azienda di famiglia, e con questo fa soldi pur non partecipando in nulla (pare per volontà degli stessi familiari). Con i soldi fa altri investimenti, tipo la recente idea della catena di kebab, così originale, ormai gli imprenditori italiani non possono fare a meno del food. E poi ovviamente ci sono – si presume – i soldi guadagnati con i milioni di contatti su Tik Tok e agli altri social, anche se i conti comunque non tornano, ma evidentemente troppo nel dettaglio la serie non vuole entrare.

La filosofia Enojoy

Invece vuole proporci Vacchi come modello: e proprio qui sta il punto. Perché di quale etica è portatore? La furbata è quella di proporci l’imprenditore-dj-influencer come una sorta di mix tra uno peculiare stoicismo – la cura del corpo che richiede fatica, impegno etc – e invece una filosofia liberale stile “casa della libertà”, perché lui, appunto, è un uomo libero che “enjoy” di tutte le cose che ha e infatti il documentario si conclude con questa sorta di inno alla libertà. Che è un modo per nobilitare la sua ricchezza, come tutto il documentario tenta di fare.

Non è un ricco senza valori, ma un uomo che si impegna duramente per restare giovane, che ama appassionatamente la sua famiglia, che ha amicizia storiche, che lavora con avvocati e manager salvo dopo volare in discoteca perché lui non è un cupo schiavo afflitto dall’etica del lavoro. Un mischione morale del tutto incoerente – una sorta di insensato calvinismo libertario - che lui però sa tenere insieme come “equilibrio”, come sostiene una sua vecchia amica che lo loda sperticatamente. Un mischione che Prime ha deciso di servirci, insieme alla statua - sì statua - fatta a Vacchi stesso a Milano per lanciare la serie. Peccato che, a differenza delle agiografie del passato, chi guarda non viene spinto a seguire il modello, migliorando in virtù. Primo, perché qui virtù non ce ne sono, secondo perché è impossibile identificarsi, visto che i milionari sono una sparutissima minoranza.

Quanto è fico essere miliardari

In fin dei conti, dunque, il problema non è Vacchi, la sua manifesta cafonaggine e arroganza, mista certo a una qualche forma di intelligenza che ci mancherebbe non abbia (secondo l’imprenditore Brunello Cucinelli Vacchi “è l’uomo più intelligente che abbia conosciuto” e qui ci toccherà fare a meno del cashmere ma con la crisi climatica non è grave).

Il problema è che ci ce lo propone come modello senza capire gli effetti devastanti su chi vede, specie se giovane. Che capisce solo quanto è fico essere miliardari visto il numero esorbitante di piscine che puoi avere e che magari basta fare dei video esilaranti per diventarlo. Ma non è solo questo. È sempre più chiaro ormai che il mondo è diviso tra chi il mondo può usarlo e chi può solo stare a guardare.

Infatti il documentario indugia moltissimo sulle bellezze naturali dell’Italia, e fa bene perché ormai sono proprio i ricchi quelli che possono godere non solo delle dimore private ma anche delle bellezza naturali che dovrebbero essere pubbliche. Perché hanno case inserite in contesti naturali incredibili, perché possono fare i fuori pista sulle Dolomiti come credono, perché la ricchezza privata in definitiva ti consente di sfruttare e godere meglio quella pubblica, sempre più impauperita e colpita dalla crisi climatica. Che i ricchi non soffrono, perché hanno case in varie parti del mondo e si spostano da una piscina in Sardegna a un caminetto crepitante in montagna.

Quanto è difficile essere miliardari

Davvero nel mondo, tra vivi e morti, non c’era un modello etico migliore di Vacchi? Pare di no. Prime ci propina prima i Ferragnez, poi Vacchi poi chissà quale altro milionario influencer. Dove la frase chiave è quella che dice Vacchi a un certo punto: “La gente crede che avere i soldi significa avere una vita facile, non è così”. E infatti è vero, non è che se sei ricco allora la tua vita non è complicata. Il problema è dare un’occhiata anche alle vite dei poveri, quelli che magari devono lavorare duramente per guadagnare un mese per quello che Vacchi spende per un aperitivo.

Quelli che magari devono lavorare proprio con lui, imparare i suoi balletti per, chissà, o cercare forsennatamente medicine mentre lui tira bottiglie, come ha raccontato ieri a “Repubblica” Laluna Maricris Bantugon, che ha chiesto semplicemente e dignitosamente i 70.000 euro che le spettano per contratto. Forse Prime avrebbe dovuto indagare meglio quali fossero le condizioni effettive di lavoro dei dipendenti di Vacchi prima di esaltare per tutto il documentario, la loro presenza.

Forse era meglio proprio non farli vedere per niente, come nel caso della serie Ferragnez, che ha deciso di far sembrare che facciano tutto naturalmente da soli. O forse no. Comunque sbagli, con questi influencer milionari, tutti uguali, prevedibili, banali nella loro presunta unicità. Sarà forse perché gli manca la cosa essenziale, che non possono comprare? E cioè la cultura?

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