Economia

Case ai rom con 8.500 euro: la misura del Comune che divide l’opinione pubblica

Un Comune italiano stanzia 8.500 euro per chiudere un campo sosta. Ma si tratta di vera inclusione o di un semplice sgombero mascherato?

Quanto vale, oggi, una casa per chi non ne ha mai avuta una? E quanto pesa un campo sosta che da decenni segna i confini della marginalità urbana?

A un primo sguardo, la notizia sembra positiva: un contributo economico per cambiare vita, lasciare roulotte e baracche e iniziare un nuovo percorso.

Ma è davvero così? O dietro le cifre si nasconde un’altra verità, più complessa e meno rassicurante?

Ecco cosa sta succedendo e di quale luogo si tratta.

Un incentivo che lascia dubbi

Il progetto nasce con una cifra ben precisa: 8.500 euro per ogni famiglia pronta a dire addio al campo rom. Non è molto, ma abbastanza per presentarsi con una caparra, coprire spese burocratiche o immaginare un primo trasloco. Ufficialmente, si tratta di una misura di inclusione, un passo avanti verso l’abbandono definitivo delle aree di sosta.

Eppure, la realtà è più intricata. Il vincolo imposto parla chiaro: chi accetta deve lasciare il campo entro quindici giorni, senza eccezioni. Una condizione che sembra più vicina a un conto alla rovescia amministrativo che a un percorso di accompagnamento sociale. E così, invece di una scelta libera e consapevole, la misura rischia di trasformarsi in una corsa forzata, con l’ombra di uno sgombero incentivato.

Casa ecologica (Canva) LaSvolta.it

Tra inclusione e sgombero: cambiare casa

Il campo in questione ospita sedici famiglie, molte con minori. Accanto al contributo economico, l’amministrazione ha previsto progetti educativi e l’obbligo di frequenza scolastica per i più piccoli. Ma restano le incognite: chi venderà una casa a famiglie prive di garanzie economiche? Dove si trovano gli immobili compatibili con cifre così limitate? E soprattutto, cosa accadrà se queste case non esistono o non vengono concesse? Il finanziamento complessivo è di 136.000 euro, affiancato da altri fondi ministeriali destinati all’inclusione scolastica.

Tuttavia, senza un vero accompagnamento sul mercato immobiliare e senza un piano di edilizia pubblica, il rischio è che la misura resti un atto simbolico, utile più a liberare l’area che a risolvere il problema. Perché la verità è che questo esperimento non si svolge in una metropoli qualsiasi, ma in Sardegna. Ed è proprio il Comune di Selargius, alle porte di Cagliari, ad aver lanciato l’iniziativa per chiudere il campo di Pitz’e Pranu. Una decisione che fa discutere: sarà un esempio di integrazione o soltanto un modo rapido per cancellare un luogo scomodo dalla mappa urbana?

Barbara Guarini

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