8.500 euro per la casa (Pixabay) Valsusanews.it
Un Comune italiano stanzia 8.500 euro per chiudere un campo sosta. Ma si tratta di vera inclusione o di un semplice sgombero mascherato?
Quanto vale, oggi, una casa per chi non ne ha mai avuta una? E quanto pesa un campo sosta che da decenni segna i confini della marginalità urbana?
A un primo sguardo, la notizia sembra positiva: un contributo economico per cambiare vita, lasciare roulotte e baracche e iniziare un nuovo percorso.
Ma è davvero così? O dietro le cifre si nasconde un’altra verità, più complessa e meno rassicurante?
Ecco cosa sta succedendo e di quale luogo si tratta.
Il progetto nasce con una cifra ben precisa: 8.500 euro per ogni famiglia pronta a dire addio al campo rom. Non è molto, ma abbastanza per presentarsi con una caparra, coprire spese burocratiche o immaginare un primo trasloco. Ufficialmente, si tratta di una misura di inclusione, un passo avanti verso l’abbandono definitivo delle aree di sosta.
Eppure, la realtà è più intricata. Il vincolo imposto parla chiaro: chi accetta deve lasciare il campo entro quindici giorni, senza eccezioni. Una condizione che sembra più vicina a un conto alla rovescia amministrativo che a un percorso di accompagnamento sociale. E così, invece di una scelta libera e consapevole, la misura rischia di trasformarsi in una corsa forzata, con l’ombra di uno sgombero incentivato.
Il campo in questione ospita sedici famiglie, molte con minori. Accanto al contributo economico, l’amministrazione ha previsto progetti educativi e l’obbligo di frequenza scolastica per i più piccoli. Ma restano le incognite: chi venderà una casa a famiglie prive di garanzie economiche? Dove si trovano gli immobili compatibili con cifre così limitate? E soprattutto, cosa accadrà se queste case non esistono o non vengono concesse? Il finanziamento complessivo è di 136.000 euro, affiancato da altri fondi ministeriali destinati all’inclusione scolastica.
Tuttavia, senza un vero accompagnamento sul mercato immobiliare e senza un piano di edilizia pubblica, il rischio è che la misura resti un atto simbolico, utile più a liberare l’area che a risolvere il problema. Perché la verità è che questo esperimento non si svolge in una metropoli qualsiasi, ma in Sardegna. Ed è proprio il Comune di Selargius, alle porte di Cagliari, ad aver lanciato l’iniziativa per chiudere il campo di Pitz’e Pranu. Una decisione che fa discutere: sarà un esempio di integrazione o soltanto un modo rapido per cancellare un luogo scomodo dalla mappa urbana?
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