Bambini ironia (Canva) LaSvolta.it
L’umorismo nei bambini si sviluppa passo dopo passo, dai sorrisi cognitivi alle prime battute. Ogni età rivela un diverso modo di ridere.
Perché un neonato sorride di fronte a una smorfia, mentre un bambino più grande ride con gusto di una parola inventata?
E come mai ciò che diverte a tre anni può sembrare banale a dieci? Non è la stessa cosa, anche se lo sembra, la percezione è differente.
L’umorismo infantile non è un semplice gioco: è il riflesso di una mente che cresce, impara e sperimenta.
Comprendere come nasce il senso del comico nei più piccoli significa osservare da vicino il loro sviluppo cognitivo ed emotivo.
Nei primi mesi di vita, la risata non è ancora legata a battute complesse, ma a situazioni percepite come insolite. Non è il sorriso riflesso tipico dei neonati, ma una reazione cognitiva: il volto che fa smorfie, la voce che cambia tono, l’oggetto che viene usato in modo inaspettato. Intorno all’anno di età, i bambini iniziano a scoprire il piacere del “far finta”. È il periodo in cui una scarpa può diventare un telefono, un cucchiaio una bacchetta magica, e una coperta una cappa da supereroe. Questo gioco di trasformazione alimenta risate e divertimento, perché rompe le regole della realtà e introduce il piccolo al gusto dell’incongruo.
Con la crescita motoria e linguistica, l’umorismo diventa sempre più vario. I bambini imparano che ripetere gesti buffi o atteggiamenti che hanno suscitato risa negli adulti è un modo per attirare attenzione positiva. Così nascono i primi piccoli “comici in erba”, che scoprono di avere il potere di far divertire chi li circonda.
Con l’arrivo del linguaggio, intorno ai due anni, il divertimento si sposta sulle parole. I bambini iniziano a giocare con suoni, rime e storpiature, trovando irresistibile attribuire nomi sbagliati agli oggetti o inventarne di nuovi. È in questa fase che si sviluppa anche l’umorismo “scatologico”, semplice ma efficace per strappare risate. Crescendo, tra i sei e gli undici anni, l’umorismo diventa più raffinato: compaiono i doppi sensi, gli indovinelli e le prime battute strutturate. Ridere, a questa età, significa anche imparare a distinguere tra ciò che è intelligente e ciò che è ingenuo.
Nell’adolescenza, l’umorismo si trasforma ancora. Diventa più pungente, provocatorio, a volte ironico e sarcastico. Le battute si fanno più complesse e spesso rispecchiano le sfide interiori e sociali di questa fase di vita. L’umorismo, quindi, non è mai statico: cresce insieme al bambino, accompagna le sue scoperte, riflette il suo bisogno di esprimersi e di entrare in relazione con gli altri.
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