Diritti

Regime impatriati, svolta decisiva: l’Agenzia delle Entrate apre anche a chi non ha la laurea

Il regime impatriati cambia volto: l’Agenzia delle Entrate chiarisce che non serve la laurea, basta dimostrare qualifiche ed esperienza.

Rientrare in Italia per lavorare e godere di vantaggi fiscali non è mai stato così possibile.

Molti pensavano che il titolo di studio fosse un vincolo imprescindibile. Altri, pur avendo anni di esperienza, si vedevano esclusi dai benefici previsti.

Un recente chiarimento ufficiale cambia le regole del gioco e apre nuove prospettive. Ora puoi avere bonus e vantaggi anche senza laurea.

Il regime del figliol prodigo è stato attivato, torna in patria e sei accolto a braccia aperte dall’Agenzia delle Entrate.

Regime impatriati: cos’è e chi può accedere e quali sono i requisiti

Il regime agevolato per i lavoratori che rientrano in Italia nasce con l’obiettivo di attrarre figure qualificate dall’estero. Si tratta di un’agevolazione fiscale che consente una riduzione dell’imponibile per diversi anni, offrendo così un incentivo concreto al rientro di professionisti, ricercatori e lavoratori con competenze specifiche.

Fino a oggi, la convinzione diffusa era che il possesso della laurea fosse un requisito imprescindibile per ottenere l’accesso. In realtà, le risposte fornite dall’Agenzia delle Entrate agli interpelli hanno chiarito che la normativa non si limita al titolo di studio. La chiave, infatti, è la dimostrazione di un’elevata qualificazione o specializzazione, che può derivare anche da percorsi professionali maturati nel tempo. Questo allarga sensibilmente la platea di lavoratori che possono rientrare beneficiando delle agevolazioni.

Regime impatriati–Fonte Canva-LaSvolta.it

Anche senza laurea hai vantaggi e possibilità di cumulo con altri bonus

Il chiarimento più rilevante arriva dagli interpelli 71 e 74: il possesso della laurea non è obbligatorio. L’esperienza professionale, purché documentata e riconosciuta, può sostituire il titolo accademico. È sufficiente dimostrare almeno cinque anni di attività qualificata o l’appartenenza a professioni regolamentate. Anche un titolo di istruzione superiore o la certificazione del datore di lavoro possono attestare la specializzazione richiesta.

Un’altra novità significativa riguarda il cumulo con il bonus previsto per i ricercatori residenti all’estero: la risposta all’interpello 16 del 2025 ha confermato che i due incentivi possono essere applicati insieme, purché siano rispettati tutti i requisiti previsti. Infine, è stato ribadito che la durata del periodo minimo di residenza all’estero varia a seconda delle situazioni: sei anni in caso di nuovo datore di lavoro in Italia, sette se si tratta dello stesso. Il messaggio è chiaro: non serve necessariamente una laurea, ma competenze solide e dimostrabili. Una scelta che punta ad attrarre non solo cervelli accademici, ma anche professionisti formati “sul campo”, ampliando così le opportunità di chi desidera riportare il proprio bagaglio di esperienza nel nostro Paese.

Barbara Guarini

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