Derise. Ignorate. Costrette a subire gli effetti di danni permanenti o a combattere con la sindrome da stress post traumatico, incapaci di legare con i loro figli neonati. I risultati dell’indagine del Parlamento britannico sulBirth trauma,che raccontano la realtà di molte neomamme, non sono sorprendenti, maquesto non toglie nulla al loro orrore. Soprattutto alla luce di un altro elemento rivelato dal rapporto diffuso daiMPs (Members of Parliament):in molti casi gli ospedali sapevano, e hanno coperto tutto. Birth trauma: cosa c’è dietro una parola Con il termine “trauma alla nascita”si intende “l’esperienza di una donna di interazioni e/o eventi direttamente correlati al parto che hanno causato emozioni e reazioni angoscianti travolgenti, portando a impatti negativi a breve e/o lungo termine sulla salute e sul benessere di una donna”. Quelle descritte nelle 80 pagine del report, però, sono esperienze che rientrano anche nella definizione di “violenza ostetrica”, un termine che è diventato sempre più familiare negli ultimi anni e che indica, secondo la prima definizione giuridica che è stata data nel 2007 dal Venezuela, “l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”. Nel rapporto, infatti,ci sono le storie “strazianti” di 1.311 donne e di quello che hanno dovuto subire a causa di “errori e fallimenti” di medici, ostetrici e altro personale sanitario. Storie di inconcepibile gravità, comebambini nati morti, parti prematuri, paralisi cerebralilegate alla mancanza di ossigeno durante il travaglio, “danni che cambiano la vita delle donne a causa di gravi lacerazioni”. Ma anche un infinito campionario di tutte quelle violenze quotidiane che le donne devono subire dentro e fuori la sala parto:urla, derisione, negazione della terapia del dolore, negligenza, mancate risposte alle richieste di aiuto o di informazionisu quello che stava accadendo. Molte hanno parlato dellapaura di star per morire, o che il loro bambino potesse morire: la parola“terrorizzata”appare in 266 dichiarazioni. Anche parole come“vergogna”, “umiliazione”e“imbarazzo”ricorrono ripetutamente, mentre la parola “rotta”(“broken”)appare in 328 contributi. La narrazione dominante era quella del disagio di essere trascurate, ignorate o sminuite in un momento in cui ci si sentiva più vulnerabili. “Le donne spesso si sentivanosottoposte a interventi ai quali non avevano acconsentitoe molte sentivano di non aver ricevuto informazioni sufficienti per prendere decisioni durante la nascita – si legge nel rapporto – La scarsa qualità delle cure postnatali era un tema quasi universale. Le donne hanno condiviso storie diessere state lasciate dentro lenzuola macchiate di sangue, oppure di aver suonato il campanello per chiedere aiuto ma non arrivava nessuno”. Una condizione che, nel Regno Unito come in moltissimi altri Paesi, compreso il nostro,è soltanto peggiorata durante la pandemia. Nel rapporto ci sono anche le voci dei professionisti dellamaternità, che hanno condiviso almeno 100 testimonianze che raccontanoun sistema in cui si lavora troppo e dove la carenza di personale è endemica.Quello che emerge, che fa anche un confronto con la situazione internazionale, è “l’immagine di un sistema di maternità in cui troppo spessola scarsa assistenza è tollerata come normale e le donne vengono trattate come un disagio”. Dove la scarsa cura è la regola e non l’eccezione. Quando “violenza” fa rima con “discriminazione” Se tutte le donne possono essere vittime di un parto traumatico,alcune sono più a rischio, perché violenza ostetrica e razzismo si intersecano:le donne provenienti da gruppi emarginati, in particolare quelli appartenenti a gruppi etnici minoritari sperimentano infatti un’assistenza particolarmente scarsa. Pochi mesi fa, un’analisi dei tassi di mortalità infantile nel Regno Unito aveva mostrato chei bambini neri hanno 3 volte più probabilità di morire. Ma la discriminazione non si basa solo sull’etnia: il rapporto mostra come entrino in gioco anche l‘età, la povertà, la neurodiversità, la sessualità e l’identità di genere. Alcuni fattori possono, ovviamente, interagire. Anche la lingua è un elemento importantenelle esperienze delle donne di minoranze etniche nell’assistenza alla maternità. L’indagine dellaBbcha rilevato che la mancanza di interpreti nel servizio sanitario nazionale sta portando a esiti negativi nel settore della maternità. I problemi di interpretazione, ha rilevato, “sono stati un fattore che ha contribuitoalla morte o alla sofferenza di almeno 80 bambini con gravi lesioni cerebrali in Inghilterra tra il 2018 e il 2022”. Il trauma non è solo alla nascita L’inchiesta non è limitata solo al momento del parto, ma si concentra anche sugli impatti a breve e lungo termine della violenza ostetrica. Tra le conseguenze ci sonola difficoltà nel legame con il bambino, stress sulla relazione con il partner e con la famiglia allargata e, spesso, l’impossibilità di tornare al lavoro. “Alcuni dei resoconti più devastanti provengono da donne che avevano subito lesioni alla nascita, causando una vita di dolore e incontinenza intestinale. Molte di queste donne hanno affermato che non potevano più tornare a lavoro e hanno descritto le ferite subite come se avessero distrutto il loro senso di autostima. Altre donne ha scritto in modo commovente di dover fornire assistenza 24 ore su 24 ai bambini con grave disabilità dovute a lesioni alla nascita”. 1 donna su 3che ha subito violenza ostetrica durante il parto (circa 30.000 donne ogni anno nel Regno Unito, dal 4% al 5% di quelle che partoriscono)sviluppa un disturbo da stress post-traumatico, afferma il rapporto. Che fare? Come cambiare le cose? “Il tema comune che attraversava le testimonianze personali era quello delledonne che non venivano ascoltatequando pensavano che qualcosa non andasse o quando chiedevano aiuto – conclude il rapporto – I segnali d’allarme che indicavano unadifficoltà nella gravidanza o nel travaglio venivano spesso ignorati.Le donne ci hanno detto che si sentono sminuite o respinte quando esprimono preoccupazioni”. Il primo passo:ascoltare le madri.Questo, però, è solo uno dei punti che il rapporto propone come necessari per un’assistenza alla maternità più giusta e rispettosa. A ciò devono aggiungersi educazione prenatale, rispetto del consenso, condivisione delle buone pratiche e utilizzo di cure basate sull’evidenza, accesso alle cure postnatali, ambiente di lavoro sicuro per il personale, trasparenza e responsabilità da parte degli operatori sanitari, coinvolgimento dellǝ partner durante il parto, lotta al razzismo,Trauma-Informed Therapye supporto per la salute mentale. Il Gruppo parlamentare multipartitico sul trauma della nascita ha anche chiesto al Governo del Regno Unito dipubblicare una strategia nazionale per il miglioramento della maternità, guidata da un nuovo Commissario, indicando 12 raccomandazioni per introdurre uno standard di base in tutto il Paese.
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