Ci sononaviche conosciamo per dove sono andate. Questo vale per esempio per la Niña, la Pinta e la Santa Maria, le tre caravelle che hanno inavvertitamente portato Cristoforo Colombo sulle coste americane.Ma ci sono anche navi che sono famose per dove sono finite, come ilTitanic, l’Endurance dell’esploratore polare Ernest Shackleton o, più recentemente, la Costa Concordia. Ci sono relitti, infatti, che ci attirano proprio perché non solcano più i mari ma perché si sonosdraiati sui fondali. I fondali marini sono un paesaggio cupo e misterioso che attira a sé tante persone. Ci sono prima di tutto gliscienziati, che studiano cosa succede lì sotto e quali forme di vita vivono là dove la luce non arriva quasi più, ma anche lecompagnie privateche scandagliano il fondo del mare alla ricerca di gas e petrolio. E poi ci sono gliarcheologi subacquei e i cacciatori di tesori,che non cercano tanto cosa cresce sul fondale ma quello checi è caduto sopra. Forse non lo sai ma l’archeologia subacquea ha il vento in poppa (il che è un po’ buffo, perché nessuna nave, soprattutto se affondata, può più avere il vento in poppa). Insomma, sta andando alla grandissima. Ci sono due grandi motivi che permettono a scienziati e archeologi di frugare anche molto in profondità alla ricerca di navi e dei loro tesori. Il primo è che non serve più che ci vadano direttamente, missione che, oltre a essere un gran bel rischio, è pure una gran bella spesa. Ai sottomarini come ce li immaginiamo – il Nautilus del Capitano Nemo o il Saga tutto giallo di Cousteau – si stanno piano piano sostituendorobot telecomandati che possono scandagliare con agilità le profondità marinee che non devono essere collegati a una nave. Muniti di macchine fotografiche potentissime e precise, possono restituire agli archeologi un’immagine dettagliata di quello che c’è in mare permettono poi – e non è una cosa da niente – di lasciare tranquillo il relitto lì dov’è, senza doverlo riportare in superficie per studiarlo. Dal 2001, infatti, l’Unesco, un’importante organizzazione internazionale che ha lo scopo di proteggere il patrimonio culturale dell’umanità, invita i paesi del mondo a preservare i reperti archeologici che si trovano in fondo al mare per evitare che predoni e saccheggiatori arditi ne rubino il contenuto. Le nuove tecnologie stanno rivoluzionando il modo di esplorare il mondoe di mapparlo. Pensa che, proprio grazie a loro, il Giappone ha scoperto giusto l’anno scorso di non essere composto da 6.852 isole come credeva sin dall’ultimo conteggio del 1987, ma da ben 14.125. Una piccolissima differenza di 7.273 isole! Per quanto riguarda lamappatura dei fondali marini, invece, gli scienziati hanno un ambizioso obiettivo:completarla tutta entro il 2030. Considerando che l’acqua ricopre il 70% del nostro Pianeta, si tratterà sicuramente della più ampia e complicata mappa del mondo! C’è però un’altra ragione, molto meno affascinante, che permette ai relitti di tornare a galla: è ilcambiamento climatico. Negli ultimi anni, ti sarai reso conto che la natura è sempre più scatenata a causa di come l’abbiamo ridotta inquinando tantissimo. Le tempeste sono aumentate a dismisura,il livello del mare si è alzato e le coste hanno cominciato a erodersi, cioè a consumarsi piano piano, sgranocchiate da tutti questi cambiamenti. Questo gran movimento di onde, fondali e spiagge ha sospinto i relitti verso acque poco profonde e li ha riportati alla luce.Le navi, dopotutto,sono “rifiuti” come gli altri: se non si smaltiscono per benerimangono lì, anche se non le vediamo. Ma la natura, che ha la memoria più lunga della nostra, ogni tanto riporta a galla i relitti e i ricordi.
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