Per “concretizzare” il concetto ditransizione energetica,e passare dalle parole ai fatti, occorre innanzituttopotenziare il ricorso alle fonti rinnovabilicon cui produrre energia pulita da distribuire a più persone, in modo da mettere finalmente in cantina gli impianti più inquinanti e diminuire il livello di emissioni climalteranti. Sulla carta, il processo sembra abbastanza lineare, ma è proprio qui che lo spettro della burocrazia (che aleggia fra le pagine dei progetti più ambiziosi) allunga la sua mano appesantendo le scrivanie degli enti pubblici conenormi faldoni, cavilli e procedure. Il risultato? Il percorso verso la transizione green siingolfa, mettendoa rischio il raggiungimento degli obiettividelPiano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), strumento previsto dall’Unione europea per mettere a punto lestrategiecon cui l’Italia dovrà raggiungereentro il 2030l’obiettivo deltaglio del 55%delle emissioni di gas serra. Documento che entro la fine di giugno potrebbe finalmente ricevere l’ok da parte della Commissione europea, dopo la bocciatura della prima versione per i valori di potenza da raggiungere, giudicati troppo bassi (ossia 130 GigaWatt, di cui 80 da fotovoltaici e 28 dall’eolico). Lo scenario è piuttosto complesso, rivelaEconnextion,sistema elaborato dall’operatore indipendente di reti elettricheTernaper mappare le richieste di connessione per impianti a fonti energetiche rinnovabili, che al 31 marzo 2024 registrava complessivamente5.678 pratiche, pari a336,68 Gw di potenza, la maggior parte delle quali da Puglia, Sicilia e Sardegna. Più nel dettaglio, il43% delle richieste(oltre 3.000) riguardaimpianti fotovoltaici per utilizzare l’energia solare(144,86 Gw), mentre il30%è relativo all’eolico onshore,dunque impianti eolici installati in zone pianeggianti (pari a 101,14 Gw); il rimanente26,8%è per l’eolico offshore,con ben 139 richieste, per allacciarsi a impianti costruiti in zone a largo negli oceani per un valore energetico di 90,41 Gw. Un ammontare di energia potenziale tanto vasto da triplicare gli obiettivi indicati nella prima stesura delPniec, oltre a superare di gran lunga i66 Gw complessividi impianti rinnovabili installati in Italia, di cui 30 legati al fotovoltaico, 19 all’idroelettrico, 12 all’eolico e i rimanenti 5 alle bioenergie e geotermica. Eppuretutta questa potenza, sufficiente da sola a raggiungere gli obiettivi dell’agenda 2030in tempo record, rimane inscatolata nellepratiche ancora in attesa di approvazione. Non nelle reti pronte per l’utilizzo cittadino, ma sulla scrivania di un ufficio. Pesa infatti la grandeframmentazione delle norme, spessoobsoletee foriere di incertezza legislativa. Il procedimento, per quanto riguardaimpianti fotovoltaici di dimensioni rilevanti, inizia infatti con unaValutazione di impatto ambientale(Via), dove ci si accerta della compatibilità ambientale del progetto e si instaura un dialogo in cui la Pubblica amministrazione può richiedere integrazioni e analisi ulteriori. A ciò segue un’Autorizzazione unica(Au) rilasciata dalle Regioni o dalle Provincie delegate, in massimo (teoricamente) 90 giorni dalla presentazione della richiesta (al netto dei tempi previsti per laVia). Tutto si conclude con unProcedimento autorizzatorio unico regionale(Paur), comprendente il provvedimento diViae tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione dell’impianto. Il processo poi amplifica le sue ramificazioni con altri provvedimenti in base alla soglia di potenza raggiungibile dall’impianto, dato che al di sotto dei 20 dei KiloWatt è necessaria una comunicazione al Comune di residenza o la richiesta di unaProcedura abilitativa Semplificata(Pas) da inviare sempre al Comune 30 giorni prima dell’inizio dei lavori Per non parlare delle continue battaglie legali e dei ricorsi al Tar fra enti pubblici e Soprintendenze ai beni culturali per il rischio che la costruzione di progetti rinnovabili possadeturpare il paesaggio di alcune zone.Il tutto si lega ai continui freni posti dalle amministrazioni comunali e locali al grido diNot in my backyard.Inoltre, il parere negativo della pubblica amministrazione spesso arrivasenza adeguate motivazionio valutazioni ambientali, col rischio di bloccare sul nascere progetti validi e socialmente utili che, nell’eventualità di una approvazione successiva, sono ormai già troppo vecchi. E bisognaricominciare tutto da capo. Già lo scorso marzo, il report diLegambienteScacco matto alle rinnovabili 2023lanciava l’allarme per la grande quantità di ostacoli burocratici per gli oltre 1.300 impianti fotovoltaici ancora in lista di attesa e in fase di valutazione, di cui solo l’1% aveva ricevuto l’autorizzazione nell’anno precedente; per l’eolico onshore la percentuale di permessi del 6% nel 2019 è scesa gradualmente fino a sprofondare nello 0% del 2022. Per recuperare terreno e accelerare il processo didecarbonizzazione, occorre dunque un profondo ripensamento dell’iter burocratico per l’autorizzazione di impianti e richieste di allaccio alla rete. L’obiettivo è contenuto nelDecreto Fer X, provvedimento ministeriale volto a sostenere la produzione di energia da impianti rinnovabili e al vaglio dell’Ue. Stando alle bozze, la misura conterrebbenuove tariffe incentivanti, gare per l’assegnazione di fondi utili a stimolare il mercato concorrenziale e diversi finanziamenti a supporto di ricerca e innovazione. Occorre dunqueaggiornare le norme già esistentiesemplificare i procedimenti, insieme a unamaggiore forza lavoro qualificata, in modo da sfoltire l’enorme ammasso di pratiche arretrate che fa inciampare il paese lungo il cammino verso la sostenibilità.
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