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“Gloria!”, l’inno alla sorellanza di Margherita Vicario

 

Con Paola Cortellesi si è a lungo parlato (e ancora la discussione è aperta, complici anche le numerose candidature ai David di Donatello cheC’è ancora domaniha ricevuto) della situazione delleregiste nel panorama cinematografico italiano. Il cinema, come ha dimostrato anche il caso deLa Chimeradi Alice Rohrwacher, è un settore in crisi: produrre un film, realizzarlo e, infine, distribuirlo richiede costi molto elevati enon sempre a una buona distribuzione cinematografica corrisponde la risposta positiva del pubblico in sala,che spesso dipende da molti fattori e da molte variabili. Forse in risposta a questa crisi, diffusa e ormai capillare, emergono all’interno di un settore, comunque, dal futuro incerto,storie ottimiste e cariche di speranzaper l’avvenire:Gloria!è una di queste.Margherita Vicarioha deciso di lavorare dietro alla macchina da presa perraccontare le vicende di un gruppo di «orfanelle»,accolte dall’istituto musicale di Sant’Ignazio nei pressi della Venezia repubblicana di fine ‘700. Il film in costume segue la quotidianità diLucia (Carlotta Gamba), Bettina (Veronica Lucchesi) e Prudenza (Sara Mafodda), ragazze orfane e membri fissi dell’orchestra dell’istituto. A questo trio si aggiungeTeresa (Galatea Bellugi), giovane donna appassionata di musica che si trova a lavorare nell’orfanotrofio nel ruolo di domestica, sempre presa di mira e considerata di rango inferiore sia dalle ragazze ospitate che dai responsabili dell’istituto religioso. Nessuno, inizialmente, chiama Teresa per nome: per tutti e tutte èsemplicemente «la muta», una presenza silenziosa e remissiva, pronta a eseguire gli ordini che le vengono imposti senza mai replicare. Insomma, l’esempio dimansuetudinee l’immagine di donna che lachiesareputa ideale. Quando alle ragazze si presenta l’occasione di suonare alla presenza di papa Pio VII, in visita a Venezia, subito l’orfanotrofio è in preda al panico: in pochissimo tempoc’è da comporre un concerto intero,fare le prove e risistemare tutto l’istituto per fare bella figura sul pontefice. Mentre le prove dell’orchestra avvengono di giorno, sotto la guida del severo maestro Perlina (Paolo Rossi), di nottele 4 ragazze scoprono un pianoforte nascostoin una delle stanze della struttura che le ospita e iniziano a ritrovarsi perprove alternative e clandestine,in cui vengono fuoricomposizioni non ortodosse al canone musicale dell’epoca. Gli ambienti chiusi, bui e notturni dove le ragazze si incontrano di nascosto per suonare la loro musica (si tratta sempre di uno stile musicale contemporaneo, che niente ha a che vedere con la moda di fine 1700) sono funzionali all’esplosione di vitalità musicale a cui si assiste nel finale, luminoso e che prospetta un futuro brillante per tutte le protagoniste. Dopo aver elaborato un piano per prendere possesso del grande concerto alla presenza del papa, le protagoniste possono finalmentesuonare la loro musica e dimostrare che non serve una guida maschile per dare un contributo a un mondo in costante cambiamento. Le 4 ragazze, pur provenendo da contesti sociali e situazioni familiari diverse tra loro, quando arrivano a raccontare le loro storie si accorgono che il filo rosso che collega tutte le loro esperienze (sia dentro che fuori il collegio) è sempre laprevaricazione maschile sulle loro vite. Teresa, che ha perso la sua voce dopo che la sua famiglia è stata assassinata dalle truppe napoleoniche, ritrova la forza di parlare (e, in un secondo momento, di cantare) insieme alle altre ragazze, dimostrando cheil primo passo per la rivendicazione dei diritti socialie per arrivare a rendere il mondo un luogo più giusto per tutte è operare per il bene della collettività. Attraverso lamusica, le allieve dell’istituto possonoesprimere tutto quello che sono state costrette a tenere dentro per molto, troppo tempoe lo dimostra bene la poesia “musicata” di Bettina, tratta dal branoQuesto corpode La Rappresentante di Lista: «Dalla mia testa parte / alla mia testa ritorna / una canzone che fa esplodere i denti / e mentre rido dimentico di aver pianto / e la mia lingua si muove da sola / e canto».

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