Anna e Marco sono stanche.Cosa stona in questa frase? Facile: ho usato ilfemminile sovraesteso. Una forma linguistica che non è prevista dalla lingua italiana, ma che sta creando scompiglio dopo la decisione dell’Università di Trentodi utilizzarla per redigere il nuovoregolamentodi ateneo. Così professori, segretari, candidati maschi diventerannoprofessoresse, segretarie, candidatecon tutte le correlazioni femminili del caso. «Leggere il documento mi ha colpito – ha detto la “rettrice” Flavio Deflorian -Come uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sullasensazione che possono avere le donne quotidianamentequando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali. Ho proposto di dare un segnale di discontinuità, una decisione che è stata accolta senza obiezioni». Fuori dalla sede accademica trentina, però, il mood è assai diverso. Perché non c’è tema che in Italia faccia saltare più i nervi alle puriste e ai puristi della lingua, ai granitici dell’italiano non-si-tocca, a chi si nasconde dietro la tastiera per azzannare chiunque osi mettere una “a” dove prima c’era una “o”, un asterisco dove prima c’era solo un plurale maschile o magariuna bella schwaper indicare un linguaggio moderno e inclusivo (abolita anche in Baviera). Figurati se in ballo c’è da dimostrare l’evidenza, ovvero chec’è più sessismo nella nostra grammatica che in un night club. E che buona parte dellediscriminazioni di genere, e quindi del progresso dell’umanità,passano anche dal modo in cui parliamo, dai termini che utilizziamo, dai bias forzati dalla nostra lingua binaria dove ogni sostantivo ha un genere maschile o femminile e dove il neutro non esiste: è gentilmente “occupato” dalmaschile sovraesteso, che appunto ci rende cacofonico qualsiasi tentativo di femminilizzare alcune parole soprattutto in ambito lavorativo. Anche quando il dizionario già lo permetterebbe. “La questione dei nuovi femminili professionali non è frutto di una teoria del complotto, ma sempliceconseguenza dalla comparsa nella società di sindache, assessore, ministre, ingegnere -spiega lalinguista Vera Ghenonel suo saggioFemminili singolari -Non sono neologismi ma forme dormientiche esistevano già e non venivano usate perché ancora non servivano”. Gheno ci ricorda che chiamare le donne che fanno un certo lavoro con un sostantivo femminile non è un semplice capriccio ma ilriconoscimento della loro esistenza. E che “la capacità di un lingua di adattarsi a descrivere una realtà in perenne movimento è indice del suo buono stato di salute”. Già nel 1986 il documentoRaccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, redatto da Alma Sabatini per la Commissione pari opportunità, suggeriva alternative concrete perevitare discriminazioni: vale la pena di leggerlo per i moltissimi esempi che ancora oggi trovano scarsa applicazione a cominciare da chi fa informazione, comeusare “umanità” al posto di “uomo”,non dare sempre la precedenza al maschile nelle forme come“signori e signore”,utilizzare il femminile per lagiudice, la presidente, la magistrata, l’avvocata e mai l’avvocatessa. Quello che stupirebbe (ma magari nemmeno tanto) la celebre linguista che nel 1987 pubblicò anche un volume per la Presidenza del consiglio intitolatoIl sessismo nella lingua italiana(puoi liberamentescaricarlo qui), è che i commenti più piccati letti in questi giorni sulla decisione dell’ateneo di Trento arrivano proprio da donne. Come se la questione del linguaggio fosse diventata sostanzialmenteun problema minore da risolvere “inter nos”: c’è chi invita a non cavillare sui termini e badare alla sostanza delle conquiste ottenute, chi pensa che combattere la violenza di genere sia ben altra cosa da affermare il femminile anche nella lingua, chiconsidera il tema troppo elitario per essere compreso. Eppure, scriveva Sabatini 38 anni fa, “A chi dice che vi sono cose molto più importanti per cui lottare e per le quali si devono serbare le energie, io dico che al contrario energie producono energie. Riteniamo nostro dovere dare indicazioni affinché icambiamenti linguisticipossibili registrino correttamente i mutamenti sociali. E si orientinoa favore della donna”.
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