Istat ha da poco pubblicato il nuovo report che contiene lestime preliminari sulla povertà relative al 2023. E sono dati che confermano che qualcosa non sta funzionando. Iniziamo con il primo: il numero dellepersone che vivono in condizioni dipovertàassolutaha raggiunto il picco storico di oltre5,7 milioni. Il 9,8% dei cittadini che risiedono nel nostro Paese. E questo valore sta aumentando a una velocità preoccupante. Per avere un’idea, nel 2014 chi si trovava in povertà assoluta rappresentava il 6,9% della popolazione. Il secondo dato è ancora più preoccupante, perché, come è ben noto anche dai numeri sui periodi di crisi, a essere particolarmente colpite dai malfunzionamenti economici sono soprattutto lepersone più fragili.Fenomeno che si conferma anche in questo caso. Per esempio, iminori: secondo il report Istat, si trova infatti in condizione dipovertà assoluta il 14% del totale dei bambini residenti nel Paese. Il terzo dato che fa molto riflettere è quello sui cosiddetti“working poors”: il 9,1% delle famiglie con almeno una persona occupata è in condizioni di povertà grave. È un dato, come dicevamo, che stride con l’immagine che abbiamo sinora avuto della povertà. Un’immagine, confessiamocelo, in alcuni casigiudicante(e filosoficamente deriva dal neoliberalismo statunitense):se sei povero, probabilmente non avrai seguito tutte le regole del sistemae quindi, in fondo, è ancheun po’ colpa tua. Questo dato, che i sé è drammatico, può anche contenere un aspetto incoraggiante. A me, per esempio, fa pensare che inizi a crearsi unacrepa nel sistema capitalistico. Mi spiego meglio: sinora, bastava rispettare le regole per avere una vita economicamente dignitosa. Si studiava (chi poteva), si dedicava gran parte della propria giornata da svegli all’attività lavorativa e, in cambio, il sistema garantiva un reddito che consentisse, quantomeno, di fare la spesa, di pagare un affitto, magari (stando attenti) anche di acquistare un immobile. Ecco, il meccanismo pare essersi rotto. Non solo per gli outsider, quelli che alle regole non hanno voluto (o potuto) stare, ma anche per chi quelle regole le ha sempre rispettate tutte. E allora succede appunto, come ci mostrano questi dati, che magarisi studia, certamente si lavora, ma che comunque si ricade in una condizione di povertà grave.Quale potrebbe essere, allora, un meccanismo compensativo? Non sono mai stata una grande sostenitrice del reddito di cittadinanza per come è stato implementato nel nostro Paese, ma devo dire che i dati di Istat parlano chiaro: l’unico momento storico in cui la povertà assoluta si è ridotta, nel corso degli ultimi anni, coincide con l’introduzione di questa misura. E ora che ilReddito di cittadinanzanon esiste più, ovviamente anche Istat si aspetta unincremento significativo delle persone che si trovano in condizione di povertà. Il quadro che ne emerge?Un sistema ingiusto, un Paese diviso, dove ledisuguaglianzeche crescono.E allora, in questi giorni leggiamo, per esempio, molte notizie legate ai rincari sulle vacanze invernali.Federalberghi, per esempio, rileva che, rispetto al 2023,nei primi mesi di quest’anno le giornate o i week-end in montagna sono più che dimezzati.Troppo cari per una gran parte di popolazione. Ed è così che il settore, nella stagione invernale, ha perso 3,5 miliardi di Euro. Questa è la consapevolezza che continua a mancare: chei problemi della singola persona diventano problemi della collettivitàe, in fondo, del Paese. Che una quota così alta di persone che vivono inpovertàassoluta è inaccettabile ovunque, figuriamoci in uno dei Paesi del G7. E che, come sempre, non è solo una questione basilare di giustizia sociale, ma è anche e fortemente un problema di natura economica. Perché, mentre le persone soffrono e non dovrebbero, si perde anche ricchezza.
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