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La liberazione sarà per tuttə e di tuttə o non sarà

 

Contorno, bordo, orlo circolare. Ma anche, e soprattutto, “la parte estrema e più marginale,contrapposta al centro, di uno spazio fisico o di un territorio più o meno ampio”. Nella definizione della Treccani di “periferia” ci sono tutti gli elementi che alimentano la narrazione di questi luoghi.Marginalità, intesa tanto in senso geografico quanto sociologico.Contrapposizione col centro. È il centro che decide il confine(il margine, appunto, il contorno) tra se stesso e quello che centro non è. Crea laperiferia-o meglio, le periferie-e poi si definisce in opposizione a esse. Una narrazione che si nutre di pregiudizi, classismi, falsi miti alimentati per mantenere la propria posizione di forza, che ha bisogno di luoghi “inferiori” da cui trarre sostentamento. Una narrazione cheMartina Micicché, scienziata politica nata e cresciuta in Comasina (alle porte di Milano) e firma deLa Svolta, rompe stereotipo dopo stereotipo nel suo libroFemminismo di periferia(Sonda, 176 p. 18€). Un testo che ci porta nel cuore di quelle zoneche evochiamo con nomi ormai entrati nell’immaginario comune come spazi mitizzati prima ancora che reali-Scampia, Secondigliano, le “Torri” romane, Corviale-condannati a un eterno destino di criminalità, ignoranza e degrado. E lo fa non per raccontarcene un volto pacificato o pittoresco che possa riscattarle agli occhi di quel centro che le rifiuta e le esclude ma per mostrare comele colpe e le inferiorità che attribuiamo alle periferie e ai suoi abitanti siano un prodotto della società capitalista e patriarcaleche ha proprio nel centro il suo Olimpo e simbolo. Periferie, margini, zone di confine: luoghi di cuila politica sembra ricordarne l’esistenza solo quando cerca il capro espiatorio di tensioni che non riesce a gestire o in campagna elettorale, durante tour a caccia di voti conquistati alimentando la rabbia di chi ha poco contro chi ha meno, soffiando sul fuoco delle ingiustizie forgiate da chi quei luoghi non dovrà abitarli mai. Tour che, al pari delle immagini catturate da chi va in vacanza “al Sud”, (poco importa che si tratti di quello del nostro Paese o di quello che continuano a chiamare Terzo Mondo) hanno il sapore di zoosafari in luoghi dipinti come tanto esotici quando inimmaginabili spazi pulsanti di vita, desideri, quotidianità, comunità. Eppure, ci mostra Micicché, nelle periferie c’è esattamente questo: la vita. Che esiste, resiste e trova strade, anche dove le strade non ci sono. Perché lamarginalità che rivendica la sua identità perifericaè, per dirla con le parole di bell hooks, “un luogo radicale di possibilità, uno spazio di resistenza”. Rifiutando ogni sguardo pietistico o falsamente conciliante, la visione dell’autrice è analitica e lucidissima: a parlare non è solo la voce di chi in periferia è nata e cresciuta-e che quindi per chi osserva dalla prospettiva centro-centrica è ontologicamente marginale, periferia lei stessa-ma i dati, a cui si uniscono lestorie di chi abita il margine concorpinon conformi, razzializzati, sbagliati agli occhi di quel centro che è maschio, bianco, ricco, potente, colonialista. Corpi violati da sguardi, molestie, violenze, ma anche da politiche che rifiutano lequestioni di generemodellando l’esistente su chi si pensa abbia diritto di abitarlo e, quindi, escludendo e invisibilizzando le necessità di chi viene tagliato fuori, prima di tutto le donne. Non è un segreto chele città che viviamo non siano a misura di donna e che le scelte urbanistiche e infrastrutturali abbiano il potere di modificare profondamente la qualità di vita e la sicurezzadi chi si muove attraverso questi spazi. Aprendo possibilità e orizzonti, ma più spesso-troppo spesso-penalizzando. Soprattutto quelle persone in cui le oppressioni si assommano e accavallano, penalità multiple che rendono impossibile partecipare davvero a quella corsa al centro che ci hanno abituato a pensare essere l’esistenza. Quella di Micicché è finalmente unaprospettiva davvero intersezionale, che ci mostra quanto questa non sia solo una bella parola da sfoggiare nelle bio sui social ma unmodo di leggere la realtà per far emergere chiaramente la radice dell’oppressione e delle oppressioni, per capire come abbatterle. In questo senso, la collocazione geografica diventa una imprescindibile: “aggiungere la periferizzazione al novero delle intersezioni non è difficile, anzi, è fisiologico”. Discriminazioni, gentrificazione, periferizzazione, fine pena mai (dentro e fuori dal carcere), negazionismo climatico, specismo sono altrettante facce di un unicosistema che schiaccia tutto quello che ha individuato come marginalee il cui più grande trionfo è aver convinto chi è sfruttato che quello sia il suo destino e la sua condizione di natura. Non tuttǝ, però. Perché è proprio dai luoghi marginali-o meglio, marginalizzati-e dalle categorie oppresse che si aprono spazi per immaginare un mondo de-centralizzato.Un femminismo di periferia dalle periferie, che parla la lingua della decrescita e della redistribuzione e non quella delfemminismoliberale bianco e “dell’empowement”scaricato sulle spalle delle donne razzializzate e con meno risorse. Che rifiuta la capitalizzazione delle rivendicazioni sociali a suon diwashingvari e fa sentire la forza vera della collettività, della sorellanza, di quelle reti che il Sistema prova a spezzare proprio per il loro potere salvifico. Il milanese Spazio di Mutuo Soccorso (Sms), il collettivo femminista Artemisia, sulle rive del Brenta, l’ecologismo queer, la resistenza digitale e quella di chi abita i margini del mondo “occidentale”: dalle periferie delle nostre città a quelle del mondo, esiste un “movimento politico e sociale che ha come scopo ilraggiungimento di una società equa, senza distinzioni di genere, classe, razza, identità, religione, età, collocazione urbanae tutte le loro specifiche interazioni e sovrapposizioni e per questo si colloca nella cornice del femminismo intersezionale”. Un movimento che riconosce che la lotta è unica e unitaria, “contro le disuguaglianze e contro chi su di essere ricava il proprio margine di dominio”. Perchéla liberazione sarà per tuttə e di tuttə o non sarà.

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