Si fa presto a direlavoro, ma la realtà è che oggi non esiste una definizione unica di questo concetto, chenegli anni ha cambiato pelle in mille modi. Un tempo il posto fisso era l’obiettivo principale di un giovane che iniziava a muovere i primi passi lavorativi, e delle famiglie d’origine che spingevano per il famoso “posto in banca”, in grado di garantire stabilità economica ed emotiva fino all’età dellapensione. Oggi tracontratti a progetto, flessibilità, smart working, settimane corte, il lavoro ha assunto diverse forme ele esigenze dei giovani sono ben diverse da quelle che avevano le generazioni precedenti.Generazioni che, però, convivono nelle aziende e che quindi dovrebbero essere messe nelle condizioni di far dialogare le rispettive aspirazioni e competenze. Ma quali sono i drivers lavorativi e i valoriche accomunano e distinguono i bisogni di “vecchi” e “nuovi” lavoratori? Quali gli ostacoli di cui gli individui fanno esperienza in base alle loro caratteristiche demografiche? In che modo le persone di generazioni diverse entrano in relazione tra di loro al di là dei loro ruoli formali in azienda? E in che modo le aziende stanno lavorando sulladiversità, equità e inclusione (Dei)tra le generazioni? A queste e ad altre domande ha cercato di rispondere lo studioOltre le generazioni. Esperienze, relazioni, lavororealizzata dal Centro Studi diValore D, in collaborazione conBehave Labdell’Università degli Studi di Milano. La ricerca, presentata alla Camera dei Deputati, ha coinvoltooltre 18.000 lavoratori e lavoratrici del network delle aziende associateValore De ha cercato di indagare la realtà delle 4 generazioni attive nel mercato del lavoro:Baby Boomers, Gen X, Millennials e Gen Z. Valori comuni e contrapposti Il primo dato che si rileva dalla ricerca, e che conferma quanto emerso da altri studi precedenti, è che iMillenials e la Gen Z sono più precarie vulnerabili dal punto di vista lavorativo rispetto ai Baby Boomers e alla Gen X, nonostante siano anche maggiormente multiculturali, più istruiti e con maggiori esperienze di studio e lavoro e all’estero. In Italia il livello di istruzione è notevolmente cresciuto nel corso degli anni: se nel 1992 infatti era solo il 6,8% dei 25 – 64enni ad avere almeno un titolo di studio terziario,nel 2022 la quota della popolazione laureata è più che triplicata, raggiungendo il 20,3% (secondo l’Eurostat,Population by educational attainment level,1992-2022). Il 52,9% dei Baby Boomers ha come titolo di studio il diploma di scuola superiore o un titolo inferiore, mentre solo il 21% dei Millennials e della Gen Z ha lo raggiunge: lamaggior parte dei giovani, infatti, ha conseguito un titolo post-diploma o la laurea(53,9% per i Millennials e il 58,6% per laGenerazione Z). In questo panorama, tendenzialmente le donne conseguono titoli di studio più elevati degli uomini, in tutte le generazioni. A cambiare nei decenni è stato anche l’idea diquale ruolo il lavoro dovrebbe idealmente ricoprireall’interno della vita di ognuno. Se fino a pochi anni fa eracentrale, per gli appartenenti alla Gen Z non è più cosìma questo non significa che non sia rilevante, o che i giovani d’oggi non abbiano più voglia di lavorare, come si sente dire spesso, ma chenon abbiano più solo voglia di lavorare. Guarda tutte le immagini della gallery>1/22/2IndietroAvanti Guarda tutte le immagini della gallery>1/2 2/2 I drivers generazionali Secopertura sanitaria e stabilità contrattualesono in cima alla classifica dei driver più importanti perBaby Boomers e Gen X,Millennials e Gen Zconsiderano di primaria importanza ilworklife balance. Per i giovani la possibilità di ottenerecongediè fondamentale, così come unriconoscimento della genitorialitàche vada oltre gli stereotipi di genere, consideri responsabilità e diritti di entrambi i genitori ed eviti ripercussioni negative, in particolare sulla carriera delle donne. Donneche, secondo la ricerca, attribuisconomaggiore importanza al lavororispetto agli uomini, ma che si trovano a dover vivere come“equilibriste”per affermarsi nella sfera lavorativa senza rinunciare a quella familiare, sottraendo tempo al proprio benessere. Il bisogno di una buona retribuzione risulta più basso tra ledonnedi tutte le generazioni rispetto ai colleghi, anche se comunque rientra tra i top 5 driver per le lavoratrici Baby Boomers, della Generazione X e Millennials. Cambio di prospettiva netto nella Generazione Z, dove la buona retribuzione sparisce dalle prime 5 priorità per le donne (ma non per gli uomini). Probabilmente complice anche la giovane età,la motivazione a migliorare e ampliare le proprie competenze (upskilling) emerge in particolare nella Gen Z, ambiziosa e desiderosa di apprendere di più e meglio, per una crescita personale e aziendale (questo è un fattore molto importante per l’80% degli intervistati). Diverso, in parte, l’atteggiamento dei Baby Boomers, che dopo anni di lavoro non sempre mantengono alta la spinta a migliorarsi; punta, però, ad acquisire nuove competenze (reskilling) 1 lavoratore su 3, consapevole che sia necessario per rispondere alle richieste di un mercato del lavoro in continua evoluzione. Ad accumunaretutte e 4 le generazioniè la convinzione che adottaremodalità lavorative all’insegna della flessibilitàe che contemplino forme come losmart workingsia cruciale per bilanciare lavoro e vita privata e ambire a un benessere globale. Le difficoltà legate all’età Età diverse portano con loro non solo esigenze ma anche potenzialità differenti, che però non sempre le aziende sembrano in grado di cogliere del tutto, come dimostra lo studio diValore D:tra le criticità maggiori c’è proprio lacapacità di far dialogare l’esperienza dei senior e il senso dell’innovazione dei lavoratori junior. In particolaresono i Baby Boomers a sentirsi poco valorizzatied esclusi dalla vita aziendale. Nonostante persista la voglia di contribuire attivamente e di trasmettere il proprio know-how alle nuove generazioni, molti si percepiscono infatti in un limbo di pre-pensionamento. Problema analogo, seppur anagraficamente contrapposto, per laGen Z, che vivendo a cavallo tra l’ingresso in azienda e il pieno riconoscimento delle proprie capacità e chefatica a farsi ascoltare. Quasi1 persona su 2 (47,8%) percepisce la propria età come un ostacolonel far valere le proprie opinioni con i colleghi e responsabili. Infine, anche se i Millennials sono potenzialmente nella loro golden age nel mercato del lavoro di oggi, 1 su 3 vede l’età come un ostacolo per ottenere una promozione e 1 su 4 riscontra difficoltà dovute all’età nello sviluppo professionale e personale. Deigenerazionale: le aziende sono pronte? Nonostante alcune difficoltà, tuttavia, nelle aziende di oggi sembra esserci unamaggiore consapevolezza dei bisogni delle persone di diversa etàe unapropensione a lavorare sul concetto di diversità, equità e inclusione, implementando azioni o politiche a favore dellaDeigenerazionale. «La ricerca è un invito ad accogliere le sfide lavorando su bias di genere ed età, che sono molto radicati nella nostra cultura e limitano un ingaggio autentico ai valori Dei. Molte aziende del networkValore Dhanno già iniziato un cambiamento a partire dalla messa in discussione di pregiudizi che rinforzano le disuguaglianze dentro e fuori il mondo del lavoro e che penalizzano in particolar modo i giovanissimi, i più senior e le donne – commenta Cristiana Scelza, Presidente Valore D -Non può esserci davvero inclusione se le diversità continuano a essere viste in contrapposizionetra loro, come se il riconoscimento di un gruppo passasse attraverso l’esclusione di un altro. Occorre guardare sempre di più allaDeicome un ecosistema che necessita dell’impegno di diversi stakeholder e di cui la strategia sia sempre più ispirata dalla complessità delle esperienze individuali, dentro e fuori».
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