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Come ti rubo 25 milioni con l’AI

 

Quanto può arrivare a costarci il progresso tecnologico e dell’intelligenza artificiale? A unasocietà britannica,con sede anche a Hong Kong, molto caro. La multinazionale (a cui è garantito l’anonimato) haperso 200 milioni di dollari di Hong Kong(circa 25 milioni di dollari) a causa di una truffa perfettamente architettata e portata a termine grazie allatecnologiadeepfake. Ma cos’è il deepfake?Si tratta di foto, video e audio “creati grazie a software di intelligenza artificiale (AI)che,partendo da contenuti reali(immagini e audio), riescono a modificare o ricreare, in modo estremamente realistico, le caratteristiche e i movimenti di un volto o di un corpo e a imitare fedelmente una determinata voce”. Tutti ne abbiamo sentito parlare solo poche settimane fa in riferimento alla vicenda che ha coinvolto Taylor Swift, la popstar statunitense rimasta vittima del deepfake: grazie all’intelligenza artificiale sono state generate e poi diffuse su X delle suefalse immaginisessualmente esplicite che in pochissimi minuti hanno fatto il giro del mondo, tra milioni di utenti che hanno reso virali le decine di hashtag collegati ai contenuti. Ma non è stata l’unica: da Gal Gadot (tra le primissime) a Drake (ultimo solo in ordine temporale), passando per Jessica Alba, Nancy Pelosi, Mark Zuckerberg e ancheBarack Obama, solo per citarne alcuni. Negli ultimi giorni, la spietata tecnologia ha compiuto un altro colpo grosso bersagliando lafiliale di un’importante multinazionale britannicache, ora, ha un conto in banca che segna25 milioni di dollari in meno. Undipendente, infatti, è statoingannato attraverso un video deepfakedei suoi colleghi e del suo direttore finanziario, in cui gli veniva richiesto untrasferimentodell’ingente somma di denaro. Tutto è iniziato a gennaio, quando l’uomo (anche lui protetto dall’anonimato) ha ricevuto una stranamail contenente un messaggio del suo managerin cui chiedeva di potergli parlare per discutere di unatransazione segreta,su cui mantenere il massimo riserbo. Il dipendente, insospettito, aveva inizialmente pensato si trattasse di una mail di phishing (una truffa informatica che consente ai cybercriminali di accedere a dati personali), ma connettendosi allavideo-call di lavoro, ha visto comparire sul suo schermo i volti dei suoi colleghie del direttore finanziario della società, si è tranquillizzato e ha accettato la “missione segreta”, che prevedeva15 trasferimenti su 5 diversi conti bancari,per un totale di 25,6 milioni di dollari locali. Col senno di poi, però, il dipendente ci aveva visto lungo: infatti, a distanza di una settimana dalla finta riunione (durante la quale ha continuato a ricevere email, messaggi e addirittura chiamate dai finti colleghi) ha deciso di contattare l’azienda perchiedere spiegazionicirca la strana richiesta dell’ingente transazione. È così che ha scoperto di essere stato raggirato e di essere statol’unica persona reale e in carne e ossa a partecipare alla videochiamata:tutti gli altri erano riproduzioni iper realistiche, frutto di un accuratolavoro conl’intelligenza artificiale. I truffatori, infatti,hanno trovato su YouTube video e audio delle persone da “replicare”;hanno così utilizzato la tecnologia deepfake per emulare le loro voci e per indurre la vittima a seguire le loro istruzioni. Il caso è passato ora nelle mani delle forze di polizia che, dal 29 gennaio, stanno conducendo indagini che, però, non hanno ancora portato a nessun arresto. Questa della truffa multimilionaria è una storia che ha dell’incredibile e che, ancora una volta, ci mette davanti alla cruda realtà di un progresso tecnologico che sta rischiando di diventare troppo pericoloso, impedendoci di riconoscere il vero e distinguerlo dal falso. Ma qualcosa si sta muovendo pertutelare gli utenti del web e proteggerli dai casi di deepfakesempre più frequenti: proprio in questi giorni, infatti, Meta ha annunciato l’intenzione di marchiare con un’etichetta specifica i contenuti creati con l’AIe condivisi su Facebook, Instagram e Threads, mentre l’Unione europea sta aggiornando le sue norme in materia di contrasto alla pedopornografia perché comprendano anche i deepfake e altro materiale generato con l’intelligenza artificiale.

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